L’Abbazia di San Niccolò e Cataldo è una testimonianza architettonica di rara bellezza nel cuore del Salento, situata fuori dalle mura urbiche di Lecce e incorniciata dai cipressi del suggestivo cimitero monumentale. Fondata nel 1180 per volere di Tancredi d’Altavilla, ultimo re normanno di Sicilia, questa chiesa rappresenta un affascinante viaggio attraverso i secoli, in cui il rigore sobrio del romanico convive con l’esuberanza del barocco leccese. Secondo la tradizione, Tancredi scampò miracolosamente a un naufragio al largo di Otranto grazie all’intercessione di San Cataldo, vescovo e protettore dei naviganti, e di San Nicola, patrono dei marinai. Per questo motivo, il re normanno volle erigere un luogo sacro dedicato a questi due santi, dando origine a un complesso religioso che ancora oggi incanta per la sua stratificazione storica e artistica.
Il monastero annesso fu inizialmente affidato ai Benedettini, ma nel tardo Quattrocento passò alla Congregazione di Monte Oliveto, i monaci olivetani, che intervennero significativamente con lavori architettonici e decorativi: costruirono un nuovo coro nel 1619, ricostruirono la sagrestia e realizzarono un ciclo di affreschi intensamente cromatici, espressione della spiritualità controriformata di quell’epoca. Tra i monumenti funebri più rilevanti vi sono quelli dedicati all’illustre leccese Ascanio Grandi che nel Cinquecento celebrò Tancredi con un poema latino. Nel chiostro, elemento distintivo è il raffinato pozzo a baldacchino progettato dall’architetto Penna nel Seicento, un esempio mirabile di ingegneria e ornamento barocco.


L’attuale volto della chiesa è il risultato del lavoro di tre protagonisti: Riccardi, Penna e Cino. Proprio Emanuele Cino, nel 1716, iniziò la “barocchizzazione” della facciata, arricchendola con ornamenti e dettagli scenografici, pur mantenendo intatto il cuore romanico, rappresentato dal rosone centrale e dal portale d’ingresso. Sulla facciata, dieci statue sorreggono ciascuna una croce e un ramo d’ulivo, simboli araldici degli Olivetani, sottolineando così la forte identità monastica del complesso. Il lato sinistro, affacciato sul cimitero monumentale, presenta un sistema geometrico di cornici e archi che richiama la tradizione normanna, ma con un’eleganza celebrativa che lascia intendere l’intento originario di fare della chiesa un luogo di sepoltura e memoria dinastica di Tancredi d’Altavilla. Dopo un lungo periodo di abbandono, dal 1985 il destino di San Niccolò e Cataldo è cambiato grazie all’intervento del Comune di Lecce. Oggi la chiesa è custodita dal Comune e gestita dal FAI Fondo per l’Ambiente Italiano, ospitando alcune sedi dell’Università del Salento che ne valorizzano la funzione culturale e accademica.

La facciata principale è una vera pagina scolpita nella pietra, che racconta un dialogo tra epoche e linguaggi artistici ben distinti. La parte inferiore, più antica, è tipicamente romanica: solida e geometrica, con archi a tutto sesto, sobrie lesene e un portale centrale incorniciato con misura. La pietra leccese, dorata alla luce del mattino, accentua l’austerità elegante della struttura originaria, conferendole al contempo un’aura di calda spiritualità.

Il portale non è una semplice soglia d’ingresso, ma un’opera d’arte ricca di riferimenti culturali: la decorazione unisce stili romanici e orientaleggianti, segno di un Mediterraneo medievale aperto allo scambio e alla contaminazione. I motivi sono dominati da racemi intrecciati e foglie ad acqua, insieme a forme geometriche esagonali e intrecci stilizzati che richiamano il gusto decorativo musulmano, probabilmente trasmesso da maestranze orientali o influenzate dalla cultura moresca della Sicilia normanna. Il vero capolavoro è la ghiera dell’arco che incornicia l’architrave, con motivi a nastro e fogliame arricchiti da sei testine femminili scolpite con delicatezza, che emergono quasi narrative dalla pietra. Sopra l’architrave, un’epigrafe latina recita ancora: “O ricco, poiché la vita insita in questa nostra carne scorre vana, provvedi in modo che essa non resti sopita a causa della stessa carne. Il Conte Tancredi in questi doni firma per sé un eterno patto di vita dotando questo tempio di coloni.” Nella lunetta superiore si intravede un affresco logorato della Vergine con il Bambino, immagine devozionale che introduce al mistero sacro dell’edificio. Anche i lati della chiesa, affacciati sul cimitero e sul chiostro, conservano un sistema geometrico di cornici e archi che, oltre a richiamare la tradizione normanna, sembrano avere una funzione celebrativa, legata all’intenzione di Tancredi di farne la propria tomba monumentale. La facciata, dunque, non è solo un insieme di decorazioni, ma un manoscritto di pietra che racconta viaggi, incontri e spiritualità, dimostrando come Lecce si sia fatta crocevia di arte e storia.


Se l’esterno della chiesa di San Niccolò e Cataldo colpisce per l’equilibrio tra il rigore romanico e la teatralità barocca, è l’interno che sorprendere, trasformandosi in un racconto visivo che attraversa i secoli. L’impianto planimetrico a tre navate, a croce contratta, separate da robusti pilastri quadrilobati con semicolonne e capitelli decorati con foglie d’acqua, rivela l’impronta romanica. Ma la sobrietà iniziale fu trasformata soprattutto dai monaci olivetani tra fine Quattrocento e Settecento, che introdussero un linguaggio narrativo e spirituale, arricchendo le pareti con affreschi devozionali, altari scolpiti e motivi carichi di simboli. Uno degli elementi più rilevanti è la cupola ellittica sulla crociera centrale, impostata su un elegante tamburo ottagonale, simbolo della rinascita spirituale, mediatore tra terra e cielo.
Uno degli elementi architettonici più rilevanti è la cupola ellittica che si eleva sulla crociera centrale, impostata su un elegante tamburo ottagonale. Quest’ultimo ricca di simbolismo, mediatore tra la terra (il quadrato) e il cielo (il cerchio) simboleggia la rinascita spirituale. Esternamente scandita da semplici cornici e finestre,veicola luce e silenzio mistico, decorata con scene mariane come l’Incoronazione della Vergine e il suo Transito.

Le navate laterali sono ricoperte da volte a crociera ogivale e sono riccamente decorati con motivi grotteschi, un gusto manierista diffusosi nel Meridione tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. Queste decorazioni, visibili anche sugli archi, raffigurano figure antropomorfe spesso deformate o ibride, in cui arti mancanti o membra si trasformano in elementi ornamentali. Accanto a queste bizzarrie visive si sviluppano gli affreschi che narrano i miracoli marini di San Nicola. Le scene rievocano la leggenda della fondazione della chiesa, legata al salvataggio miracoloso del normanno Tancredi. Infine sono perfettamente integrati con gli altari e le strutture pittoriche. In epoca barocca, molti affreschi medievali furono coperti da nuovi altari, trasformando profondamente l’aspetto originario dell’interno.


Un’ulteriore traccia della stratificazione storica è offerta da due affreschi speculari, posti lungo le navate laterali: a destra, un’immagine dedicata a San Nicola, a sinistra una raffigurazione di San Benedetto, memoria visiva dell’antica gestione benedettina prima dell’arrivo degli Olivetani. In questo gioco continuo di luce, simboli e racconti, l’interno della chiesa di San Niccolò e Cataldo si offre non solo come spazio liturgico, ma come vera e propria narrazione tridimensionale della fede, del potere e dell’arte nel cuore del Salento.

Tra i dettagli più discreti ma potenti si annoverano la statua di San Nicola e le due acquasantiere monumentali di Riccardi. La statua, collocata sopra l’altare maggiore, colpisce per la cura dei dettagli, la policromia originale e la morbidezza visiva conferita dalla pietra leccese. L’opera non colpisce per la teatralità, ma per la cura meticolosa dei dettagli e la qualità della tecnica esecutiva. Il santo è rappresentato frontalmente, nel gesto della benedizione, con gli abiti vescovili e il pastorale. Il bastone pastorale, ad esempio, mostra all’estremità l’impiego di foglia oro, che ne esalta il valore simbolico. Inoltre, la materia scultorea verosimilmente legno ma è pietra leccese conferisce all’opera una morbidezza visiva insolita, rendendo la figura più umana e meno monumentale.


Le acquasantiere sono collocate in posizione speculare sui primi pilastri della navata centrale, una scelta inusuale, dato che tradizionalmente questi oggetti sacri sono posti all’ingresso delle chiese. Questi manufatti, di impianto barocco, esibiscono una ricchezza decorativa che sorprende per la sua ambiguità. Nella parte superiore, all’interno delle acquasantiere spicca lo stemma dell’Ordine degli Olivetani, chiaro riferimento alla committenza; ma ciò che più colpisce è la componente iconografica, che sembra giocare con un sottile equilibrio tra spiritualità e mondo pagano: su una delle acquasantiere è rappresentata una sirena dal busto scoperto con doppia coda, mentre sull’altro compare una figura di mostro marino, sembra che mangi Giona, grottesco e fantastico.

Il coro, costruito nel tardo Barocco dagli Olivetani, sostituì l’antica abside romanica per creare uno spazio più aperto, luminoso e coerente con la liturgia controriformata. Il coro si presenta come una quinta teatrale, con colonne corinzie, stucchi e nicchie, e ospita un ciclo di affreschi in cui monaci benedettini e olivetani dialogano con sei sovrani europei crociati, evidenziando il legame tra potere spirituale e temporale. Una botola lignea nella pavimentazione suggerisce un mistero: deposito o passaggio segreto tra coro e monastero. Il primo chiostro, cuore silenzioso e spirituale del complesso, è accessibile dal coro e si apre in uno spazio quadrangolare con cinque arcate per lato su colonne binarie di pietra leccese, con capitelli fioriti. Al centro spicca il pozzo a baldacchino di Cesare Penna (1644), con colonne tortili e un cupolino ottagonale terminante con una mitra vescovile, simbolo della dignità abbaziale. Il pozzo è decorato con figure allegoriche dell’acqua, tema di purificazione e rinascita spirituale.
Al centro del chiostro che domina la scena è il celebre pozzo a baldacchino, realizzato nel 1644 da Cesare Penna. Questa struttura è un piccolo capolavoro del barocco leccese: quattro colonne tortili, completamente scolpite, sorreggono un elegante cupolino ottagonale, che si conclude con una mitra vescovile, un chiaro riferimento alla dignità abbaziale; le colonne poggiano su basamenti decorati con figure allegoriche legate alla simbologia dell’acqua. Il chiostro rappresentava il fulcro della vita monastica, luogo di meditazione, studio, preghiera e attività quotidiane, crocevia tra chiesa, refettorio, dormitorio e scriptorium. Nonostante gli interventi rinascimentali e barocchi, conserva sobrietà e ordine secondo la regola olivetana, con dettagli come stemmi scolpiti che ricordano mecenati e maestranze locali.
di Giulia Stifanelli
