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Berthe Morisot e il segreto della luce: una storia di talento e determinazione

Berthe Morisot guarda l’osservatore dalle pareti di musei e collezioni d’arte. Édouard Manet l’ha ritratta diverse volte, prima musa, poi cognata quando sposa il fratello Eugène: nei quadri cambiano le pose, gli abiti, gli accessori. Non lo sguardo diretto che trasmette una determinazione incrollabile. La stessa che le consente di valicare i vincoli e le limitazioni imposte dalla società di fine Ottocento all’universo femminile della buona borghesia. E di farsi non solo pittrice, ma prima donna del movimento Impressionista.

Édouard Manet, Berthe Morisot con un mazzo di violette (1872, Museo d’Orsay – Parigi

In occasione dell’anniversario della fondazione dell’Impressionismo, Genova dedica alla pittrice una mostra a Palazzo Ducale. Torino risponde con un’esposizione alla Galleria d’Arte Moderna. Tra collaborazioni e prestiti internazionali, i grandi musei al di qua e al di là delle Alpi ripercorrono la vita e il coraggio di una signora dell’arte. La mostra nel capoluogo ligure è visitabile dal 12 ottobre al 23 febbraio 2025, a Palazzo Ducale, nelle sale dell’appartamento del Doge, come si conviene agli ospiti d’onore. Raccoglie ottantasei tra dipinti, acqueforti, acquerelli, pastelli. E poi documenti fotografici e d’archivio, molti in prestito dagli eredi Morisot. Raccontano la famiglia e il lavoro, in quel fragile equilibrio in cui ogni donna si esercita. E poi gli amici del tempo: Pierre-Auguste Renoir, Claude Monet, Édouard Manet, Edgar Degas, e intellettuali come Stéphane Mallarmè e Émile Zola. Tracce di una vita ostinatamente dedicata all’arte.

Berthe Morisot, La culla, 1872, Museo d’Orsay – Parigi

Sono trascorsi 150 anni da quel 15 aprile 1874, data della prima uscita pubblica di un gruppo di pittori dissidenti che travolge Parigi e il mondo, sovvertendo i canoni dell’arte. Nello studio del fotografo Felix Nadar c’è una sola donna: Berthe Morisot  (Bourges, 1841 – Parigi, 1895) scommette contro il destino e il parere dei conformisti. L’anniversario diventa un po’ la sua festa. Quasi la restituzione tardiva di una fama a lungo taciuta. Ancora nel 1895 il funzionario incaricato di compilare il registro della sua morte, alla voce professione, scrive: nessuna. Eppure a dire il contrario ci sono 400 tra tele, quadri, bozzetti, disegni. Un’esistenza intera spesa ad affinare una tecnica e un colpo d’occhio unico. Oggi quelle opere varcano confini, viaggiano, in un’indipendenza solo vagheggiata dall’autrice, lungo un ideale filo rosso che parte dal Museo di Belle Arti Jules Chéret di Nizza con Berthe Morisot, Escales impressionnistes da poco conclusa. Risponde Genova con Impression, Morisot  a completare un omaggio tutto Mediterraneo di quella riviera dove Berthe soggiorna tra 1881-1882 e 1888-1889. A distanza di pochi giorni e chilometri Torino rilancia con l’esposizione in programma alla Gam – Galleria d’Arte Moderna, dal 16 ottobre al 9 marzo 2025: Berthe Morisot. Pittrice impressionista, in collaborazione  con il Musée Marmottan Monet di Parigi.

Berthe Morisot, La Fable, 1883, Collezione privata, CMR 139 © Christian Baraja SLB

La cifra, ogni volta, è la luce catturata sulla tela, grazie ad una creatività debordante, nonostante i vincoli che la società del tempo impone alle ragazze per bene. Niente passeggiate in solitaria, serate danzanti sul lungo Senna o ritrovi affollati per Berthe e le sue coetanee. Così gli alberi e un accenno di lago al Bois de Boulogne, a pochi passi da casa, o una finestra aperta sull’esterno diventano lo sfondo per un personalissimo en plein air, la declinazione di una pittura all’aperto che subito la conquista come dimensione ideale del creare. Ma è nelle scene domestiche che eccelle da subito: un gineceo tutto al femminile, salvo poche eccezioni, fatto di cure familiari, toilette in preparazione di serate eleganti e domestiche al lavoro.

Berthe Morisot, Fillette au chien, 1886, Collezione privata © Christian Baraja SLB

Una scelta artistica che ha il sapore della rivendicazione. Vuole un posto nel mondo, Berthe. E promuove una rivoluzione borghese privatissima e discreta che non conosce resa, neppure di fronte ai rifiuti. Quello all’Académie des Beaux-Arts la costringe a ripiegare sulle lezioni di pittura private con Camille Corot che ne riconosce il valore: in fondo è nipote del celebre Fragonard. Poi un costante impegno a migliorarsi le consente di affinare un tratto che diventa più rapido con il passare degli anni. Fino all’incompiuto delle opere adulte con lo strato di pittura che si fa impreciso ai bordi della tele, negli angoli. I suoi detrattori lo attribuiranno ad una sorta di mancata sicurezza. E’, al contrario, il grado più alto di autoderminazione: l’artista che solo decide quando un’opera è compiuta e il suo grado di definizione.

La vita intanto si alterna tra lo studio allestito in casa, la produzione continua e la  capacità di riconoscere le potenzialità del nuovo stile nonostante il dissenso dell’opinione pubblica. Anche in questo sta una modernità che valica i confini culturali e conquista poeti come Stéphane Mallarmé e Paul Valéry, autori dei testi di accompagnamento alle retrospettive postume che Parigi le dedica tra fine ‘800 e inizio ‘900 (raccolti dall’editore Castelvecchi in un agile volumetto del 2016): il primo è un amico, quasi coetaneo. L’altro un parente acquisito, grazie al matrimonio con una figlia della sorella. Raccontano entrambi Berthe e il suo genio indiscusso. Mallarmè la descrive come una “maga da ricordare a prescindere dagli incantesimi”, “amichevole medea”, “padrona di casa mai banale” nell’alto salone che alla sera ospita ricevimenti privati, alla mattina studio discretissimo. Dove lei, Berthe, “dipinge, con furia e disinvoltura, per anni, tenendo la monotonia a bada e spandendo un profluvio di idee fresche”. E custodendo il suo “segreto luminoso”.

Berthe Morisot, Autoportrait, 1885, Paris, Musée Marmottan-Claude Monet, fondation Denis et Annie Rouart – Legs Annie Rouart, 1993 © Musée Marmottan Monet, Paris / Bridgeman Images / Service Presse

Valéry regala un ritratto più dettagliato, spinto dalla parentela con quella che in famiglia affettuosamente definiscono “Zia Berthe”: “una signora sempre vestita con classe, dai lineamenti meravigliosamente marcati e un viso limpido e volitivo dall’espressione quasi tragica, dove talvolta soltanto le labbra accennavano a un sorriso particolare, destinato agli indifferenti perché avessero di che temere”. Ancora gli occhi, magnetici, tanto che Manet li dipinge neri anziché grigio-verdi, come sono in realtà.

Entrambi i poeti colgono la volontà di ferro che le fa dire nel 1871: “Otterrò la mia indipendenza solo a forza di perseveranza e manifestando molto apertamente l’intenzione di emanciparmi”. È in anticipo di oltre un secolo su Steve Jobs e sul suo celebre invito alle nuove generazioni, ma parla la stessa lingua, è animata dalla stesso desiderio che traspare nell’autoritratto del 1885, quando si dipinge sola, di tre quarti, in abiti da lavoro. Lontana dai riflettori Berthe Morisot costruisce la sua fama postuma.

di Antonella Gonella

Autore

  • Giornalista, laureata in Lettere classiche, sempre alla ricerca di nuovi libri e storie da raccontare. Ha collaborato con diversi giornali, una rete televisiva e svariati siti internet. Si occupa di comunicazione a livello istituzionale.

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