Esiste qualcosa di più inamovibile del destino ed è la determinazione con cui impariamo ad accettarne le conseguenze e a declinarle, anche in condizioni di apparente svantaggio, in una risorsa per la vita, oltre la vita stessa. Esistono realtà, come certi piccoli paesi che affacciano sulla costa ionica calabrese, che hanno fatto di questa consapevolezza un nuovo e inarrestabile punto di forza. A Badolato, piccolo borgo del Catanzarese incastonato su una collina esposta a visuali mozzafiato, per esempio, si parla da tempo di spopolamento perché ne si conoscono appieno le cause e gli esiti ma ancora poco le possibili soluzioni. D’altra parte, andando verso l’entroterra, in Calabria, lo scenario è sempre questo di un’apocalisse placida. La via dell’abbandono dei paesi lascia cicatrici che sono falciate emotive, con la scure di un presente che cede ogni proiezione futura alle statistiche e si fa inquadrare in una lista di numeri e segni, tutti vincolati alla sottrazione. In questi spazi rimasti vacanti, però, la vita si ritorce: racconta una storia di silenzi, di erranza e di bellezza inesauribile che ora e sempre hanno il senso di una vocazione naturale. Non è tanto il peso del vuoto, che si vuole necessariamente colmare, riempire con ragionevoli sostituzioni, a spaventare, ma la fisionomia del disperso che rischia sempre, pericolosamente, l’oblio. E, ogni giorno, qui si combatte col sospetto che la riconoscibilità, che il senso dell’appartenenza stesso, possano svanire davanti alla mancanza di chiari riferimenti o lasciti.

Certo è, dunque, che, al di là delle prospettive di contrasto e risanamento della criticità, quello su cui si sta tentando di lavorare con perizia è la gestione dei flussi, quindi dei passaggi come delle tracce e delle testimonianze. Perché oltre le persone, oltre la presenza materica, corporea, sociale, oltre l’assenza, l’abbandono, le macerie e le mancanze, sono i segni che si inscrivono, che restano, che resistono a tutto finanche alla morte. Su queste basi e da un’idea del giornalista Mimmo Lanciano, a Badolato sta sviluppandosi un movimento artistico, quello della Spop Art, che non solo – come suggerisce la nomenclatura – si rivolge ai paradigmi dello spopolamento, estetizzandoli e sublimandoli, ma si contrappone concettualmente, per farsi portavoce di valori anticapitalistici e anticonsumistici, alla ben più nota Pop Art. Spop come arte contro lo spopolamento e SPop come arte contro la mercificazione e la commercializzazione di tale fenomeno.

La regola è ripartire dall’Arte ben contestualizzando, adattandone cioè strumenti, mezzi e potenzialità alle proprie necessità, anche dove le urgenze pratiche sembrano insormontabili e poco inclusive rispetto a certe aspirazioni apparentemente astratte. In questo clima si è coltivata l’idea di ospitare il progetto itinerante “Cordæ – suoni dal silenzio” di Giorgio Caporale, musicista eclettico e anticonvenzionale, con un particolare background nel mondo delle arti visive e del Jazz, dunque dell’improvvisazione, e un’educazione alla flessibilità, alla versatilità e allo “scandalo”, che fa di lui un chitarrista atipico e “Spop”, caratteristiche che lo hanno portato naturalmente a sposare la causa degli artisti badolatesi. Un’esperienza musicale immersiva compiuta lo scorso 26 agosto 2025 promossa e organizzata dalla Pro Loco Badolato APS, dagli artisti del progetto “Casa delle Arti e delle Culture” e patrocinata dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro e del Teatro del Carro, che è uscita fuori dalle logiche del momento di spettacolo ed ha realizzato appieno il suo obiettivo, coinvolgendo circa 200 persone, accorse per assistere all’evento. Un nuovo e fortunato atto della Spop Art badolatese, dopo i primi momenti di contro-azione comunitaria, coi laboratori destinati ai più piccoli realizzati dall’artista Roberto Giglio e coordinati da Guerino Nisticò, ma soprattutto con la riapertura e la riconversione di Palazzo Gallelli come luogo deputato alla condivisione culturale, punto nevralgico da cui prendono forma idee e progettazioni.

Punto fisico dell’esperienza musicale è stata la suggestiva Chiesa dell’Immacolata, in tutto il perimetro esterno, luogo sacro e iconico di Badolato per il suo valore storico e memoriale, prediletto anche per la sua acustica naturale e la sua forza evocativa, che in questa occasione è diventata a tutti gli effetti, e forte della sua sacralità, un altare sonoro. Non un palcoscenico come spazio di contenimento dell’azione performativa ma un frammento di paesaggio che si è fatto, nel tempo stesso dalla sua trasformazione, viva scenografia: l’abside della chiesa antica, un terrazzamento che domina dall’alto la valle e guarda verso il mare, una gradinata che impone e insegna il ritmo di una transizione, di un moto. Giorgio Caporale ha sfidato qui i confini del concerto tradizionale per trasformare la sua più intima relazione con lo strumento in un rito, in un gesto politico e poetico, un grido sommesso ma incisivo che ha avuto facoltà di porre un rimedio o una cauta ornamentazione a ogni crepa sulle pietre, sui silenzi e le memorie. Ha lavorato alla cristallizzazione dell’atmosfera acustica, creando talvolta un ambiente perturbante e distorsivo, talvolta un ricetto confortevole e identificativo. Un’azione che, pur nella sua liquidità, nell’esclusività del momento performativo, ha avuto certamente tutti i caratteri del site-specific. Perché motore trainante è stata la capacità improvvisativa di Caporale, che proprio attraverso la sua forma di libertà espressiva ha cucito a misura di impressioni momentanee, di luci, di ombre, di emozioni e di spazialità, suoni autentici e calzanti.

“Cordæ – suoni dal silenzio” è anche il titolo metaforico che ha definito concettualmente e ha guidato l’intera operazione: corde che legano, che tendono e trattengono, che vibrano e propagano, che fanno lo sforzo di tenere insieme ciò che si sta disgregando, che rompono la prassi riduttiva dei silenzi. Corde di chitarra che diventano la configurazione materiale di corde invisibili come quelle del senso di comunità e di appartenenza ai luoghi.
Le chitarre — elettriche, acustiche, curate, distorte, talvolta reinventate — hanno inseguito fruscii, armonie, disarmonie, colpi, silenzi: il suono si è disfatto e si ricomposto come un paesaggio sonoro che è riemerso dalle lacerazioni del tempo. Una soluzione radicale, che ha messo in crisi le abitudini dell’ascolto per restituire centralità alla percezione, all’attenzione, alla compartecipazione dello spazio naturale e antropico, degli astanti e degli assenti. Come architetture effimere che si sono erette su vibrazioni e frequenze, reminiscenze e improvvisazioni, e si sono poi dissolte lungo le traiettorie dei riverberi, queste raggiunte da Caporale sono state note che ancora, a distanza, esigono una coabitazione, nel tempo labile della loro esistenza. Note che riflettono ora l’instabilità dell’abitare, che ci fanno sentire fragili nella nostra nuova stanzialità ideale.

Echi di musiche popolari, liturgiche o di riti arcaici, si sono dissolte dentro strutture aperte, improvvisazioni, inserti elettronici e rumori ambientali. Le chitarre di Giorgio Caporale hanno dato sìvoce al paesaggio stesso ma non lo hanno mai intrappolato in un’estetica sonora tradizionale: ne hanno ribaltato la percezione, invece, con la libertà di una storia che, pur memore,riparte dal presente, immaginando, sognando, proiettando i connotati del futuro. L’identità sonora si è cristallizzata in composizioni originali e brani strumentali costruiti su scale modali, loop, delay, ottave e accordature aperte. Così come in un ampio uso di armonici naturali, tessiture ritmiche su chitarra, con influenze world/jazz/classica. Un viaggio sonoro che ha attraversato il Mediterraneo, il jazz, la sperimentazione ambient, in uno stile personale e riconoscibile.
Nel gesto minimale e radicale di far risuonare, con la musica, i vuoti e i silenzi di un borgo fortemente votato allo spopolamento, si è avverata una delle facoltà più autentiche dell’arte, quella che non intrattiene ma interpella; che non riempie, ma apre spazi. Cordæ – Suoni dal Silenzio è stata una performance destinata alla permanenza perché si è legata indissolubilmente agli effetti che oserà produrre, sul luogo, sulle persone e persino sulle mancanze. Ne resta traccia su un disco live (Cordae Live Badolato) fruibile gratuitamente su tutte le piattaforme digitali, in ogni tempo e a ogni latitudine possibile.
di Elisa Longo – Fotografie di Giulia Natalia Comito
