Quando sentiamo parlare di Magonza, alcuni di noi pensano alla città tedesca che ha dato i natali a Gutenberg, qualche storico magari alla Grande Dieta convocata dal Barbarossa nel 1235, oppure al suo celebre carnevale. Sì, e poi? Voglio raccontarvi cosa ho amato di Magonza e perché è una città che merita di essere scoperta.

Mainz, questo il suo nome originale, sorge sul Reno e, giusto per avere un’idea di dove collocarla geograficamente, basti pensare che dista appena mezz’ora di treno dalla ben più nota Francoforte. Nel suo territorio sono nati gli insediamenti più antichi dell’attuale confederazione germanica. Scavi archeologici dimostrano che l’area era già abitata a partire dal I secolo a.C. da tribù celtiche. Nel 2021, ulteriori rilevamenti hanno svelato che la zona dove sorge Magonza ha ospitato un insediamento temporaneo di cacciatori durante l’ultima era glaciale (20000-25000 anni fa). Oggi è difficile, se non impossibile, apprezzare la storia della città, in quanto non vi sono tracce del suo lungo passato. Infatti, come la maggior parte delle città tedesche, ha subito ingenti danni durante il secondo conflitto mondiale. Non per questo, però, il suo piccolo centro storico risulta meno caratteristico e interessante da un punto di vista architettonico. L’imponente Duomo, visibile anche a chilometri di distanza, è realizzato in arenaria rossa e domina il centro e le sue colorate case a graticcio.


Accanto alla vivace piazza del mercato, dove lo sguardo non può che focalizzarsi sull’incantevole Marktbrunne (fontana del mercato), una delle prime fontane decorate di epoca rinascimentale, ha sede il Museo Gutenberg. Il museo non si limita a onorare l’inventore della stampa, bensì racconta in ben tre piani espositivi la storia e l’evoluzione di questa tecnica, dalle origini fino ai nostri giorni.


Oltre alle splendide e inestimabili bibbie, è possibile ammirare una quantità sorprendente di volumi a stampa, perfettamente conservati, realizzati con grande maestria, spesso illustrati da dettagliatissime incisioni e rilegati in pelle, impreziosita a sua volta dall’uso di raffinate decorazioni in oro.

Straordinaria è anche tutta la parte dedicata alla meccanica, con imponenti torchi tipografici, e quella dedicata alla realizzazione dei caratteri a stampa. Il cuore del museo è il piccolo caveau, un luogo affascinante in cui luce e temperatura sono calibrati e costanti tutto l’anno, al quale si accede pochi alla volta: qui sono custoditi alcuni esemplari della Bibbia a quarantadue linee di Gutenberg, il primo libro stampato in Europa con la tecnica a caratteri mobili che, nel 2001, è stata censita dall’UNESCO nel progetto “Memoria del mondo”.

Il capoluogo della Renania-Palatinato, però, non è solo Gutenberg. È una città a misura d’uomo, dove si respira una certa tranquillità, forse perché ci si muove quasi esclusivamente a piedi. Qui il turismo di massa non è arrivato fortunatamente. I visitatori, però, non mancano e ci si imbatte volentieri in piccoli gruppi che scelgono una formula curiosa e interessante di turismo alternativo: quello “cultural-enologico”. Le guide, cioè, non si limitano a un semplice tour storico-artistico della città, ma offrono anche una degustazione di vino on the road. Accompagnati da un colorato carretto vintage contenente bottiglie pregiate, eleganti calici e (tanto) ghiaccio, i turisti possono così ammirare le bellezze della città e, nel contempo, sorseggiare dell’ottimo vino.
Magonza custodisce, poi, un altro inestimabile tesoro: la chiesa di Santo Stefano o, meglio, le sue vetrate, ideate e realizzate da Marc Chagall con l’aiuto del mastro vetraio di Reims, Charles Marq, tra il 1977 e il 1984.

La chiesa, in stile gotico, quasi del tutto ricostruita dopo i bombardamenti del ‘45, osservata dall’esterno è un edificio poco attraente, ma quello che nasconde al suo interno vale senza dubbio il viaggio. Le vetrate, create secondo la tecnica medievale della placcatura del vetro, possiedono una gamma incredibile di sfumature e una marcata matericità, proprio grazie a questa particolare tecnica artistica. Il sodalizio artistico tra la grande maestria del vetraio francese e l’estro del pittore russo ha trasformato l’edificio in uno spazio spirituale di forte impatto visivo, dove perdersi, attratti da infiniti giochi di luce. In questo luogo risuonano, a ben vedere, le parole di Pierre Cabanne, storico dell’arte originario di Carcassone e deceduto nel 2007. Cabanne, descrivendo l’arte vetraria di Chagall nel suo saggio del 1961, intitolato Chagall rende à la lumière sa liberté (Chagall porta alla luce la sua libertà), scrive: “prendete delle finestre e metteteci intorno le pareti”.

Ho amato Magonza perché quello che ho trovato è stato del tutto inaspettato. È più facile rimanere delusi se si hanno grandi aspettative. Io certamente ero curiosa e volevo visitarla per via del museo e soprattutto per via delle vetrate, di cui avevo scoperto l’esistenza giusto un anno prima, dopo aver ammirato le splendide “cugine” francesi nella cattedrale di Reims. Ma l’emozione che regalano le vetrate della chiesa di Santo Stefano è ben altra cosa. Naturalmente la cattedrale di Reims è un’opera architettonica eccezionale, imparagonabile alla ben più sobria chiesa di Santo Stefano. Però, nella celebre cattedrale francese le vetrate realizzate dal grande artista russo sono soltanto tre, collocate nell’abside; in Santo Stefano tutte le vetrate sono state realizzate da Chagall, esclusivamente nei toni del blu, colore amatissimo dall’artista. Questo fa sì che entrando nella chiesa ci si ritrovi come per magia in uno spazio quasi ultraterreno: le miriadi di sfumature, dal celeste al cobalto, dal turchese all’acqua marina, dal ceruleo all’indaco, avvolgono il visitatore in una dimensione onirica, in grado di donare quel senso di pace e di profonda serenità, che dovremmo poter percepire – anche in modi totalmente differenti tra loro – in tutte le chiese e luoghi di preghiera di questo mondo, ancora e sempre martoriato dall’odio e dalle guerre.
Testo e fotografie di Claudia Di Battista