Maurizio De Vito Piscicelli nacque a Napoli il 25 marzo 1871 e si dedicò sin da subito alla carriera militare, segnalandosi per il suo eroismo durante la battaglia di Caporetto, per la quale fu insignito della medaglia d’oro al valore, dopo aver perso la vita nella notte del 24 ottobre 1917. Inoltre fu anche viaggiatore, esploratore e scrittore, appassionato cultore di studi naturalistici. Nel 1897, durante la guerra greco-turca, si arruolò nella Legione Filoellenica sotto lo pseudonimo di Montalto, per difendere la Grecia. Dopo un periodo di servizio in patria, accettò la proposta del governo italiano di lavorare per il re del Belgio nell’organizzazione del Congo Belga. Fu grazie a questa sua esperienza in Africa che gli fu chiesto di organizzare le spedizioni della duchessa Elena d’Aosta tra il 1907 e il 1914, durante le quali visitò diverse regioni africane e del Sud-Est Asiatico, tra cui Borneo, Giava, Ceylon (Sri Lanka), Siam (Thailandia), Celebes (Sulawesi), Cambogia, India e Australia. Divenne così socio della Società Geografica Italiana, che arricchì con le sue relazioni e documentazione fotografica.


Nel 1914, intraprese un viaggio straordinario nel Siam (oggi Thailandia) proprio come ufficiale di scorta della duchessa Elena d’Aosta. Splendido il suo resoconto che ci offre uno sguardo su un paese affascinante e poco conosciuto dagli europei dell’epoca, nel momento in cui questo stava abbracciando la modernità.

Attraversando le savane e le piantagioni di riso, Piscicelli osservò una vegetazione rigogliosa, con alberi da frutto come il mango e il jackfruit, oltre a palme da cocco e da zucchero. “Di tanto in tanto fra i bambù e le banane s’intravedevano capanne sollevate su palafitte, le abitazioni degli agricoltori siamesi”, annotò, descrivendo un paesaggio che mescolava bellezza naturale e vita rurale.

Sul Menam
Descrisse anche le tecniche agricole: il riso, coltivato con metodi tradizionali, veniva seminato usando aratri di legno trainati da bufali, mentre gli agricoltori attendevano le piogge per iniziare la semina. Tuttavia la scarsità di manodopera, dovuta alla coscrizione militare, spesso lasciava i raccolti a marcire nei campi.

Durante il suo soggiorno assistette a diverse festività locali. Tra queste, la festa del Loh-Chin-Cha era particolarmente impressionante. “È una cerimonia diretta dai bramini” – scrisse – “celebrata per ringraziare il cielo per il buon raccolto e invocare piogge abbondanti per la stagione successiva”. La festa dei Raek-Na, un’altra celebrazione antica, prevedeva che il re, o un suo rappresentante, arasse simbolicamente un campo per propiziare la fertilità della terra. Questi rituali, carichi di simbolismo, mescolavano elementi di religione indù e buddista, dimostrando la profonda spiritualità del popolo siamese.

Il viaggio lo portò anche all’antica capitale di Aythia (Ayutthaya), oggi un sito di rovine avvolte nella vegetazione. Osservando l’architettura dei templi notò e descrisse i differenti stili che si intrecciavano, nei lavori in bronzo, oreficeria e ceramica: “Le tradizioni artistiche siamesi riflettevano una fusione di stili locali con influenze indiane e cinesi, creando un panorama culturale ricco e variegato”. I templi, decorati con mosaici e statue, erano testimoni della perizia degli artigiani siamesi, che mescolavano arte sacra e profana in creazioni di straordinaria bellezza.

In conclusione, il resoconto di Maurizio De Vito Piscicelli sul suo viaggio nel Siam del 1914 rappresenta una testimonianza affascinante di un’epoca in cui l’Oriente era ancora avvolto da un’aura di mistero per gli europei. La sua esperienza rimane una testimonianza preziosa, capace di illuminare le trasformazioni di una nazione che stava cominciando a percorrere la strada del cambiamento, senza tuttavia rinnegare le proprie radici.
di Davide Chierichetti e Susanna Di Gioia – Fotografie: Società Geografica Italiana
