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La città: il luogo della rappresentazione umana

Avere un pensiero completo sulla città significa riflettere sulla natura e sulla condizione umana, visto che la città può essere considerata, a ragion veduta, la più grande invenzione dell’uomo e il più complesso fenomeno culturale di ogni tempo. Peraltro, gli uomini non sono più in grado di vivere in altri luoghi e le città ormai ospitano più del 50% della popolazione mondiale. Cambiano di continuo e con una tale rapidità da non permetterci più un naturale adattamento alla loro vita, e quello a cui stiamo assistendo sembra una strada senza ritorno.

©Diego Bardone
©Diego Bardone

Le città potrebbero tranquillamente fare a meno di noi o, all’opposto, essere noi non più all’altezza della loro sfrenata attività. Ormai sono metropoli dalla tecnologia così spinta – e per  questo vengono chiamate “smart” – da illuderci della loro intelligenza e della possibilità che possano gestire anche la complessità della vita. Le stiamo immaginando capaci di addizionare e accelerare informazioni su informazioni, o essere più efficienti in funzione della loro dimensione, visto che le città grandi consumano proporzionalmente meno di quelle piccole; o ancora, abilitate magari a ridurre le contraddizioni umane, annullandone le diversità. In primis la loro e dopo la nostra.

©Roberto Besana

Ma ogni diversità di cultura che scompare riduce la nostra cassetta degli attrezzi, utile per trovare gli strumenti necessari alla sopravvivenza. La domanda, a questo punto, è quella di chiederci a cosa servano le città e, se siano ancora i cittadini al centro della loro attenzione, perché l’invadenza della tecnica e del pensiero calcolatorio ha ridotto la realtà a ciò che è misurabile e ha preso vigore l’idea del futuro come tecnologia, che per la città potrebbe sintetizzarsi con “machine à habiter”, il motto di lecorbuseriana memoria. La vita umana però non può essere ridotta a ingranaggio meccanico; in realtà è solo “teatro”.

©Cesare Salvadeo

Che fosse una straordinaria rappresentazione lo sapeva anche Giacomo Leopardi, quando nel suo Zibaldone annotava:  “Si dice con ragione che al mondo si rappresenta una Commedia dove tutti gli uomini fanno la loro parte”. E il paesaggio nel quale viviamo si è andato configurando come un vero e proprio palcoscenico, dove ognuno ha potuto recitare la propria parte, riempiendolo dei segni della sua presenza. Poi, è stato il paesaggio urbano a prendere il sopravvento come spazio scenico: la comunità cittadina si racconta e il singolo cittadino, per esserne coinvolto, assume un ruolo, o perché ne ha l’arte o perché è parte della comunità.

©Diego Bardone

Il grande spettacolo della vita vede l’uomo costruire ogni giorno il proprio personaggio e, ogni giorno, rappresentarlo sulla scena cittadina, perché tutti noi abbiamo un corpo e una parola che usiamo ad arte per le nostre attività, quindi, anche noi siamo attori, qualche volta spettatori, indiscutibilmente protagonisti della scena urbana. Nel senso  che abbiamo la necessità vitale di riempire i vuoti che il divenire del mondo fa esistere. Ma questa incessante attività, in fondo, è l’essenza dell’Arte umana, che ci permette di smontare e rimontare quello straordinario bagaglio di conoscenze, suggestioni, esperienze, emozioni accumulatesi nel tempo, che ci incoraggia a mischiare le differenze e a osare abbinamenti inaspettati, che non solo ci aprono nuove prospettive o nuove possibilità ma, molto semplicemente, ci aprono la mente. Affinché la mente resti aperta è necessario però coltivare la curiosità, e le città sono capaci di stimolarla all’infinito, per quanto sono piene di cose diverse e di storie interessanti.

©Diego Bardone

Ogni cittadino racconta e ascolta le storie di tutti e, così facendo, trae profitto dai racconti degli altri, migliorando le proprie idee, il proprio lavoro e se stesso. Ma anche le proprie relazioni personali, fondamentali per essere parte di una comunità. All’inizio si tratta di rappresentarsi l’esito, perché di ogni storia vogliamo sapere come va a finire, e il teatro è visione dell’esito, cioè di una storia particolare che diventa generale una volta rappresentata. Ma il seguito dipende dalla validità della rappresentazione, cioè se in quello che facciamo c’è qualcosa che dà valore alle nostre azioni. La città si rappresenta, il cittadino si rispecchia e, a sua volta, rappresenta la propria storia e questo continuo rispecchiamento consente di attivare la rappresentazione urbana, dove ognuno è il rispecchiamento dell’altro. Sono le relazioni e le interazioni tra le persone, e tra le persone e le cose a intrecciare la trama di valore di una città di qualità. Impariamo la parte da rappresentare guardando gli altri, proprio come a teatro, ed è la parola stessa a dircelo, derivando infatti dal greco theàomai, che appunto vuol dire guardare, osservare. Vediamo e imitiamo il nostro sacerdote, il nostro insegnante, il nostro maestro e il filosofo Carlo Sini ci ricorda per l’appunto che “il teatro è la più antica forma di sapienza che abbia frequentato l’umanità”. E quando osserviamo gli altri, oltre a capire cosa stanno facendo, siamo anche in grado di ripetere le loro azioni, cioè imitiamo gli altri per far diventare nostre quelle stesse azioni. Prima si copia qualcuno, poi ci si libera dall’originale, infine si diventa originali. E questo, a ben vedere, è il meccanismo dell’evoluzione: la copia porta alla mutazione e al cambiamento, sia in ambito genetico che culturale.

©Diego Bardone
©Diego Bardone

Per molto tempo si era pensato che fosse la competizione il motore dell’evoluzione; invece, chi studia le strette relazioni fra piante e animali ci dice che è la cooperazione tra viventi la forza principale che modella la vita sulla Terra. E la città, per definizione, è un artefatto sociale. Fatta con le parole e le azioni degli uomini e, credere nella città, significa immaginare che possa essere ancora il luogo della parola e della narrazione umana. Le parole muovono le cose e producono effetti, e gli uomini si sono mobilitati, anche se a loro insaputa, per attivare tra chi parla e chi ascolta una nuova connessione neuronale, ovvero un’empatia che si manifesta con la presenza fisica che abbiamo, con le parole che conosciamo, con la verità che dichiariamo, con la bellezza che esprimiamo, cioè con il “teatro” che rappresentiamo tutti i giorni; il luogo dove la comunità si rivela a sé stessa, rende comune la condizione umana e procede di comune accordo.

di Claudio Lucchin

Immagine in copertina: ©Diego Bardone

 

Autore

  • Architetto bolzanino con lunga esperienza professionale anche in ambito educativo. Affronta le sfide progettuali con un approccio umanistico, cercando di comprendere la complessità del mondo amalgamando discipline diverse, per connettere l’empatia umana con gli ambienti di vita. Caratterizza la sua opera nella risoluzione di problemi progettuali complessi e inusuali, come l’ampliamento ipogeo di una scuola superiore (Scuola Hannah Arendt a Bolzano); la rigenerazione urbana di aree industriali di...

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