È a partire dalla metà del XIX secolo che si registra una riscoperta del mondo delle icone, grazie alla quale è stato tolto un velo di secoli che aveva celato questo prezioso patrimonio d’arte e religiosità. In Occidente si registrano però alcuni errori di valutazione che ne riguardano alcuni aspetti. È sbagliato ad esempio considerare le icone patrimonio esclusivo dei paesi dell’Est; infatti esse lo sono dell’intera cristianità: nel V-VI secolo, quando nacquero e si diffusero, le chiese erano unite nella comune lotta alle eresie; la Russia, convertitasi al cristianesimo intorno all’anno Mille, ricevette le icone da Bisanzio e quelle più antiche si trovano a Roma. Lo stesso Medioevo italiano ha avuto profondi legami con l’arte dell’icona fino ad artisti come Duccio di Buoninsegna e in parte Giotto.
È errato anche considerare l’icona un’immagine devozionale paragonabile ai quadri occidentali a soggetto religioso: a differenza di questi, essa ha precisi fondamenti teologici ed esprime attraverso un linguaggio simbolico e non realistico la realtà divina rendendola presente. Per la Chiesa l’icona è un “sacramentale partecipe della sostanza divina”. Tale sacralità deriva dalle civiltà precristiane: nei tribunali delle province dell’Impero romano veniva esposta la cosiddetta imago efficiens ritraente l’imperatore, che garantiva la sacralità di ogni giudizio. Questo tratto per cui l’immagine rende presente la persona raffigurata passò ai cristiani dai primi secoli, che diedero contenuti nuovi a moduli figurativi già esistenti, come visibile nelle catacombe. Quando nel IV secolo la religione cristiana divenne ufficiale, si produssero splendide immagini di Cristo, della Madre di Dio, dei Santi, dei Martiri, dei Profeti.
In seno alla Chiesa Ortodossa l’arte delle icone riveste il suo ruolo più importante, quello liturgico, in quanto luogo di presenza della grazia; l’icona rivela attraverso immagini e colori ciò che la Sacra Scrittura annuncia con le parole. Nel secolo VIII la controversia iconoclasta colpì la chiesa di Costantinopoli e spinse Papa Adriano I e l’Imperatrice Irene a convocare il II Concilio Ecumenico di Nicea nel 787 per deliberare sul culto delle immagini. La contesa fu chiarita grazie alla distinzione fra l’“adorazione”, spettante unicamente a Dio e la “venerazione”, che può venir tributata anche alle creature, poiché l’onore reso a un’immagine è diretto al prototipo. Una strenua difesa delle immagini provenne da Germano di Costantinopoli e Giovanni Damasceno, i quali dimostrarono che, con l’incarnazione, il Dio cristiano, che prima si celava dietro segni, ora si è fatto imago, assumendo forma umana e diventando raffigurabile. A seguito della seconda ondata iconoclasta (813-842), Teodoro Studita definirà il rapporto tra icona e prototipo come paragonabile a quello tra il corpo e la sua ombra: se, da un lato, è insensato pensare che la realtà è la sua ombra, dall’altro lo è il non vedere nell’ombra il corpo; il prototipo, dunque “è nell’immagine secondo la somiglianza dell’ipostasi”.
Le tesi di Nicea II ebbero una differente ricezione nelle due province dell’Impero. Ma non esistettero mai un Occidente “infedele” in opposizione ad un Oriente “fedele” a quelle tesi. Si prospettarono invece diverse concezioni: una concezione “mediterranea” di matrice bizantina, che sviluppò l’aspetto autenticamente rivelativo dell’icona, un’altra propria della chiesa carolingia, che attribuiva all’immagine un compito esclusivamente estetico, e la posizione romana, che teneva uniti l’approccio estetico e didattico-narrativo e onto-teologico dell’immagine. I termini della questione sono quindi più complessi e se l’arte occidentale è stata tradizionalmente relegata alla categoria gregoriana di biblia pauperum (nata nella Germania meridionale del XIV secolo e applicata per lo più ai cicli figurativi che illustravano le storie sacre ai fedeli non in grado di leggere le Scritture), ciò è dovuto all’adozione di un canone formale in ambito orientale che non ha pari in ambito latino e che assicurava la reale presenza del divino nella forma materiale.
di Teresa Gaetano – storica e critico d’arte