‘’Ti vorrei portare in una strada vicino a Piazza del Popolo per vedere le strisce pedonali. Lì ho pensato di fare i quadri monocromi. Per me tutto è cominciato in quel momento”. I monocromi per Schifano cosa vogliono dire? Comunicazione più che ideologia. Certo non è assolutamente niente di nuovo nell’arte di fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta (anni in cui Schifano inizia a realizzare i primi monocromi). L’artista ne è pienamente consapevole. La fotografia, gli smalti industriali, la stampa serigrafica e la cinematografia sperimentale sono i nuovi materiali di un’arte che non giudica, non imprime ideologie ma raccoglie le ferite di una realtà che si oppone al necessario. Come ci dice Schifano: ‘’Dentro di me c’è un’intensità che non sempre trova sbocco’’. Ma possiamo dire che questo ‘’sbocco’’ in qualche modo è rappresentato dai monocromi dove niente è definito e il colore trasborda come le ferite della nostra realtà.
Punta a un azzeramento della pittura da cui poi poter ripartire. I monocromi evocano la struttura di uno schermo cinematografico o televisivo: uno spazio vuoto pronto ad accogliere nel periodo immediatamente successivo lettere e numeri, ulteriore riavvicinamento della pittura ai segni della vita moderna.
Proviamo a dare un’occhiata ai suoi monocromi. Mario Schifano, noto ai più per il merito di aver introdotto la pop art in Italia, fu uno degli artisti più innovatori e amanti della mondanità, tanto da introdurre nella sua arte le novità della tecnologia fotografica e cinematografica. La sua dipendenza dalle sostanze stupefacenti lo fece passare alla storia con l’etichetta di “artista maledetto”, ma egli fu molto di più, non omettendo il suo vissuto anzi esaltandolo nei suoi pezzi.
Nato in Libia nel 1934, si trasferisce a Roma nel dopoguerra. Abbandonati precocemente gli studi, riesce a trovare lavoro presso il Museo Etrusco di Villa Giulia grazie a suo padre che lavora lì come archeologo. Inizia a dipingere tele di matrice informale, che riesce ad esporre nella sua prima personale alla Galleria Appia Antica di Roma. Abbandonati (presto) i modi formali si dedica alle opere monocrome con smalti industriali, dove la carta di imballaggio è incollata sulla tela. Il colore cola e infrange il bordo dello schermo.
Un viaggio a New York nel 1962 e l’incontro con Andy Warhol e la pop art segnano una svolta nella sua vita e nel suo lavoro, e così inizia a dipingere paesaggi anemici che presenta alla Biennale di Venezia nel 1964. Vive con passione e fragilità, turbato dal presente; si lega a New York soprattutto con il poeta, critico d’arte e curatore del Museum of Modern Art, Frank O’Hara. Questi morirà precocemente qualche anno più tardi; Schifano cercherà un rifugio nelle sostanze stupefacenti e nel pulsare quasi ossessivo della musica underground. Mescola immagini e suoni, creando nel 1967 il primo Live Show multimediale italiano.
Mario Schifano ci lascia all’età di 64 anni, morendo a causa di un infarto nel 1998. L’arte è una costante domanda al mondo, un dilemma da cui non è possibile sfuggire. Nell’arte non si cercano risposte, almeno non in quella di Schifano. Per l’artista non è importante costruire uno stile, un linguaggio, ma è il rapporto diretto con la realtà. Con i monocromi, il quotidiano e la vita reale entrano nel suo lavoro diventandone protagonisti. Questa è la sua tecnica: pennellate veloci senza l’intenzione di rendere omogeneo il risultato finale. Colore ‘’grondante’’. Schifano non vuole solo azzerare la superficie del quadro ma attribuirle un altro punto di vista, ‘’inquadrarla’’. Come scrive Maurizio Fagiolo dell’Arco: “L’arma di Schifano è il regard, un occhio obbiettivo, una camera fotografica mentale. Non vede una cosa ma la vede ‘inquadrata’, la vede ‘angolata’, considera cioè il mondo-della-vita dietro uno schermo, che è oggettivo ma finisce per dare un’impronta ‘astratta’ agli ultimi frammenti mondani’’.
Ma Schifano era popolare? Nell’eterno dibattito su cosa renda davvero grande un artista – prezzi delle opere, la quantità di mostre fatte, ecc. – la risposta la dà lo stesso Schifano nel 1984: se tutti sono-siamo unanimi nell’adorarlo e dedicargli continue mostre, forse è semplicemente “perché sono bravo”. D’altronde Schifano dipingeva partendo da qualcosa di primario, facendolo e basta, senza nessuna presunzione di impartirci lezioni o intenzioni culturali.
di Alessandra Carmone