Mimmo Rotella. Strappare la pelle dei muri per rigenerare segni
La mente ripercorre a ritroso scampoli di tempo e il pensiero, sul filo dei ricordi, ritesse flussi di immagini, frammenti preziosi legati a luoghi, a persone, ad eventi incancellabili. Con ancora negli occhi le impalpabili vibrazioni del bianco delle opere, ritorno ad una indimenticabile sera d’estate a Vibo Valentia, all’inaugurazione della splendida mostra dedicata ad Angelo Savelli; è presente anche Mimmo Rotella, giunto a rendere omaggio all’amico del periodo romano. Sospinta dalla passione critica dei miei giovani anni che si nutre anche dei loro respiri, li seguo affascinata.
“Chi ripete non è creativo, è mixed salade”
Mentre Savelli guida Rotella in uno speciale attraversamento del suo candido universo, cerco di cogliere perfino le sfumature timbriche delle loro voci che, a turno, si inseguono, si soffermano, spiegano, sottolineano, raccontano. Seguendo il naturale sviluppo del percorso visivo, entrano nell’installazione “Inficosmo” in cui il ritmico susseguirsi di fili bianchi dà forma ad eteree “pareti”. Lì il silenzio del bianco si fa parola densa di concetti sostanziali, rompe l’ovvia visibilità, si fa forza esplicativa del loro dire.
Con i suoi modi istrionici, intrisi d’irriverente ironia, Rotella ribadisce all’amico che «ormai tutto è stato già fatto; i grandi maestri del passato hanno già fatto tutto nel modo più alto: noi non possiamo ripetere, non ha alcun senso farlo. Chi ripete non è creativo, è mixed salade. Noi, io tu, siamo stati illuminati da grandi idee. Solo chi ha grandi intuizioni è artista, è innovatore del linguaggio creativo. Noi siamo innovatori: io con lo strappo, il décollage, tu con il bianco. L’arte contemporanea è fatta dagli innovatori».
La lacerazione come gesto
A distanza di anni, nella fertile distesa dei miei ricordi, risuona ancora vivo e vitale il suono delle parole profetiche di Mimmo Rotella, a ricomporre la partitura creativa del suo lavoro di artista visionario e geniale. La sua straordinaria vicenda artistica appare quanto mai legata alla rivoluzionaria invenzione tecnica del décollage, un procedimento operativo che s‘origina da quell’universo di immagini coloratissime, ridondanti, eccessive che tappezzano i muri cittadini; il loro ripetersi, il loro sovrapporsi invadente e ossessivo – come sottolinea lo stesso Rotella – non può non colpire la retina e la fantasia di un pittore, al di fuori di ogni pretesto figurativo in senso tradizionale. E il suo sguardo, quello di un artista che sta ripensando e mettendo in discussione quanto fatto fin allora, ne è attratto, irrimediabilmente travolto: è la folgorazione visiva da cui nasce lo strappo, la lacerazione come gesto, come intuizione creativa.
La tecnica del décollage di Mimmo Rotella
Rotella asporta i manifesti pubblicitari dai muri, per poi ricomporli in studio obbedendo alle sollecitazioni espressive più immediate e dirompenti realizzando inedite e originali elaborazioni compositive, producendo i famosi décollages. Rotella stesso ben chiarisce l’origine di questo nuovo realismo urbano, affermando: «Nel mio lavoro io cerco di tener conto delle impressioni e degli shock che ricevo continuamente: ed ecco nei miei décollages recenti, un recupero dell’immagine che è una reazione all’astrattismo accademico, ma che nulla ha a che vedere col dato figurativo naturale puro e semplice». E ancora Rotella, annota: «Io incollo i manifesti, poi li strappo: nascono forme imprevedibili. Ho abbandonato la pittura di cavalletto per questa protesta. Se avessi la forza di Sansone incollerei Piazza di Spagna, con certe sue tinte naturali, autunnali, morbide, tenere, sui piazzali al tramonto del Gianicolo».
Un linguaggio sempre in evoluzione
Nella varietà di modi operativi e tecniche, egli dà , di volta in volta, continue virate innovative al suo linguaggio artistico, dimostrando, anche in là con gli anni, di sapersi sempre e ancora stupire, di saper rimodulare i propri tracciati espressivi cogliendo i segnali ulteriori di contaminazione linguistica che gli giungono dalla strada, dalle impronte stratificate di manifesti, dalle lacerazioni casuali che ne determinano la struttura visiva.
Così la sua indagine conoscitiva, muovendo dai mutevoli cromatismi murali della città, dai suoi paesaggi di carta stampata, costruisce sempre nuovi itinerari esplorativi per lo sguardo: guidandolo tra gli strappi dei décollages in cui ricomporre il tessuto connettivo della nostra storia urbana; sollecitandolo ad aprirsi varchi esplorativi tra i grumi e le asperità della materia con i retro d’affiches, memorie dei muri che ne hanno accolto il corpo cartaceo; costruendogli giochi di seduzione visiva tra gli accumuli e le sovrapposizioni tipografiche su tela emulsionata della Mec Art (abbreviazione di Mechanical Art), degli Artypo con cui si appropria dell’immagine fotomeccanica; spingendolo ad avventurarsi in ulteriori e coinvolgenti percorsi di visione sui fogli di metallo delle lamiere, tra impronte di memorie, manifesti lacerati, segni, scritte, incisioni, in una più globale interazione con la dimensione ambientale della città, con la sua architettura.
Mimmo Rotella secondo Restany
Décollage, artypo, affaçage modalità tecniche, metodologie di cui lui stesso è inventore, ripropongono la valenza metaforica del suo gesto creativo attraverso cui entra in relazione e, simbolicamente, s’appropria dell’intero contesto urbano. Non a caso Pierre Restany scrive: «Storico della strada e della vita quotidiana. Testimonio lucido di una società lacerata di cui salva gli ultimi pezzi di bravura, Mimmo Rotella è penetrato dalla grandezza del suo gesto».
Mimmo Rotella: uno Strappo per mostrare la verità
Rotella è consapevole di come con il suo strappo laceri la pelle dei muri per mostrare la verità dei nostri destini umani; di come, nella loro inerte e statica apparenza, i muri vivono la brevità esistenziale dei manifesti, il loro continuo sovrapporsi e annullarsi nella fragile identità vitale, ripete e ricapitola la precarietà della nostra stessa vita, del nostro tempo che scorre, inarrestabile, nell’indifferenza dell’altro; allo stesso modo, anche i nostri occhi, in assoluto automatismo, registrano le miriadi di immagini che dai muri parlano, raccontano, gridano, sommandosi le une alle altre in un unico flusso visivo che scorre lungo le vie della città, come le nostre vite.
Dallo Strappo verso “fossili della civiltà moderna”
Rotella però va oltre la consuetudine visiva, oltre l’abitudine che genera indifferenza: lui col suo gesto scava oltre la superficie effimera del nostro vivere, oltre l’epidermide dei muri, individuando, nella densità semantica delle stratificazioni cartacee che li ricoprono, la struttura testuale delle sue opere. In questo è un inarrivabile “storico” che, nell’evolversi metamorfico del suo fare, richiama sopite analogie con i reperti fossili del passato. In effetti, le sue opere potrebbero considerarsi “fossili della civiltà moderna”, nei quali leggere i riferimenti cronologici ed esistenziali con una storia, la nostra, che si compie e si disperde nella provvisorietà di un presente regolato dalla rapida obsolescenza dei propri oggetti.
Una svolta innovativa
Nella seconda metà degli anni Ottanta, dopo l’esperienza parigina col gruppo dei Nouveaux Realistes, così descrive Rotella l’ennesima svolta innovativa impressa al proprio lavoro creativo: «Nel 1987 ho cominciato a recuperare vecchi pannelli metallici su cui avevo già incollato manifesti pubblicitari lacerati vi ho dipinto sopra figure, simboli, graffiti che vedevo non solo sui muri della città ma anche nelle metropolitane e su alcune pubblicità delle riviste».
Le lamiere sono le superfici che accolgono i segni dell’artista, le stesse che raccontano i segni precari, instabili del nomadismo urbano, le iscrizioni, le incisioni, le sedimentazioni della materia, disgregata dalla bruciante vitalità del fenomeno; una materia cui l’artista, col proprio gesto, attribuisce una più alta densità di significato immettendola direttamente nell’orizzonte qualitativo del processo estetico.
«Sulle lamiere metalliche – scrive ancora Restany – destinate all’affissione pubblicitaria in città e ricoperti di frammenti di carta – avanzi della memoria dei messaggi tipografici anteriori – l’intervento grafico di Rotella segna il marchio vitale del discorso urbano. I graffiti rotelliani si presentano come una calligrafia mimetica del discorso anonimo della città».
I Blanks
In questo processo di trasformazione e di continua riformulazione delle sue coordinate linguistiche si collocano le coperture, i blanks. Laddove gli enormi cartelloni pubblicitari vengono ricoperti da fogli monocromi per indicare che la pubblicità è scaduta, si verifica una sospensione del senso, una pausa di riflessione. Ma, la sospensione è prontamente colmata; il bianco viene ricoperto e attraversato da nuovi segni, simboli, segnali prelevati direttamente dal contesto urbano; il suo silenzio ridiventa parola, viene ridefinito nella sua dimensione testuale da interferenze pittoriche, da sovrapitture, da ulteriori interventi creativi che, nel solco fertile delle lacerazioni, determinano nuovi approdi per il pensiero creativo di Mimmo Rotella .
Tra sempre nuove suggestioni di repertori tecnici si esprime la felice vena inventiva di Rotella, l’essenza mutevole della sua ricerca: quelle radicali modificazioni, quelle ibridazioni tra segno e materie, quel sovrapporsi di forme, colori, immagini che riconducono all’energia originaria del gesto, a quel processo emozionale, forte e intenso, che deflagra nella forza ironica e dirompente dello strappo.
L’artista “saccheggiatore” di immagini che indaga e racconta
Nelle sue opere si condensa un discorso artistico in costante ridefinizione che si rigenera in varianti linguistiche sempre diverse; esse traducono efficacemente l’intelligenza del tempo e la sua ineludibile frammentarietà, offrendosi, nella loro sintassi segnica, come chiave di lettura esemplare delle trasformazioni e dei mutamenti umani e sociali dell’età contemporanea, che il gesto demistificatorio e trasgressivo dell’artista, nelle sue scorribande di “saccheggiatore” di immagini, indaga e racconta.
Infatti, Rotella, pienamente uomo e artista del suo tempo, in un continuo rapportarsi all’incessante dinamicità della realtà urbana, ne coglie gli umori, le innumerevoli entità vitali, l’ininterrotto, sotterraneo mormorio: li strappa direttamente dai muri e li rende parola nuova, forma viva e in divenire, metafora del mondo.
Teodolinda Coltellaro – critico d’arte
Immagine in copertina: Americano, 1967, artypo su tela, cm. 100×133 (Courtesy Frittelli Arte Contemporanea, Firenze)