Pitea di Massalia e il confine del mondo: la Thule tra conoscenza scientifica e mito
(a cura di Riccardo Renzi)
La figura di Pitea di Massalia è centrale per comprendere la geografia antica, sospesa tra osservazione empirica e costruzione mitica. Escluso da Strabone tra i geografi, Pitea emerge come esploratore-filosofo capace di fondere realtà e simbolo in un’originale epistemologia del viaggio. Questo articolo analizza la Thule (Θούλη), limite dell’ecumene, attraverso fonti antiche, contesto storico e ipotesi moderne sulla sua posizione. Si esamina inoltre l’impresa di Eutimene di Massalia, che avrebbe esplorato le coste occidentali africane, ricostruendone contesto, motivazioni e impatto, con particolare attenzione al fiume da lui risalito, forse non il Nilo, ma il Senegal.
Geografia e conoscenza tra narrazione e misurazione. L’influenza di Strabone nella tradizione geografica ha determinato una frattura epistemologica tra geografi “scientifici” e geografi “narrativi” (Strabone, Geografia, I, 1, 1–16). In questa dicotomia, Pitea di Massalia sfugge a una classificazione netta, collocandosi in una posizione liminale, come osservato da diversi studiosi (Callegari, 2005). Egli non compare infatti nel primo libro della Geografia straboniana tra gli autori degni di credito, ma viene citato in termini critici e indiretti. Tuttavia, la sua opera perduta, Perì touŌkeanoû (ΠερὶτοῦὨκεανοῦ), resta fondamentale per la storia della geografia, non solo per le descrizioni pionieristiche dei territori nord-atlantici, ma anche per l’approccio conoscitivo che fonde empiria e simbolismo.

Pitea e Massalia: il contesto storico-commerciale dell’impresa. Fondata dai Focei intorno al 600 a.C., Massalia (odierna Marsiglia) fu per secoli un nodo strategico del commercio mediterraneo e transalpino. Le trasformazioni economiche e tecnologiche del VI–IV secolo a.C. — come la produzione di anfore vinicole e la monetazione a quadro incuso — attestano una progressiva espansione commerciale verso l’entroterra gallico e l’Atlantico (Zavatti, 1979; Bouffier, 2011). Il viaggio di Pitea, collocabile tra il 340 e il 310 a.C. (Roseman, 1994), sembra inserirsi in un piano deliberato di espansione delle rotte commerciali della polis, volta a superare la mediazione dei popoli gallici per l’approvvigionamento di stagno e ambra (Plinio, Naturalis Historia, XXXVII, 35–36). La spedizione fu quindi probabilmente promossa e finanziata da Massalia stessa, come suggerisce Polibio (Historiæ, XXXIV, 5), analogamente a quella, a sud, del massaliota Eutimene.
Il viaggio come atto ontologico e gnoseologico. Il viaggio, in Pitea come in altri autori presocratici, assume un valore conoscitivo totalizzante: non mero spostamento spaziale, ma processo di ri-definizione dell’esistente. In questo senso, la distinzione tra fisico e metafisico, tra reale e simbolico, viene a cadere (Bianchi, 2020). L’approdo a Thule rappresenta la soglia estrema dell’ecumene e insieme il punto d’origine della conoscenza: una “fine del mondo” che è anche inizio.

Thule: geografia dell’estremo tra mito e realtà. Pitea descrive Thule come un’isola “dove il sole non tramonta mai” e in cui “fuoco, acqua e aria non si distinguono” (apud Strabone, Geografia, II, 2, 1). L’isola, localizzata sei giorni di navigazione a nord della Britannia, ha suscitato numerose ipotesi: dalla costa norvegese all’Islanda, fino alla Groenlandia (Tierney, 1963; Cunliffe, 2001). L’ipotesi islandese è attualmente la più accreditata, alla luce di tre fattori principali: 1) la descrizione del paesaggio: Pitea parla di mare semi-congelato e di commistione tra gli elementi, perfettamente compatibile con i fenomeni vulcanico-glaciali islandesi (es. Jökulsárlón); 2) i fenomeni solari: il “sole di mezzanotte” e l’aurora boreale sono descritti implicitamente come realtà osservabili, e sono tipici delle latitudini islandesi; 3) la distanza: sei giorni di navigazione dalla Scozia settentrionale corrispondono al tragitto medio necessario per raggiungere l’Islanda con le imbarcazioni dell’epoca (Bost, 1990).


Pitea stesso distingue accuratamente ciò che osservò di persona da ciò che apprese tramite gli indigeni (apud Strabone, II, 5, 8), e i dati astronomici da lui raccolti furono confermati anche da Eratostene (apud Strabone, II, 1, 1), nonostante le critiche di quest’ultimo. La figura di Pitea di Massalia va rivalutata non solo come quella di un precursore dell’esplorazione scientifica, ma anche come un ponte tra il mito e la razionalità geografica. In lui si salda la tradizione dei bona fide travelers, i primi esploratori che hanno cercato di delineare l’autentica forma del mondo. La Thule da lui descritta, oggi probabilmente identificabile con l’Islanda, è più di un luogo: è un’idea-limite, un confine epistemologico oltre il quale l’ignoto si fa conoscibile. In questo senso, Pitea ha tracciato non solo nuove rotte commerciali, ma anche nuove rotte del pensiero.
Eutimene di Massalia e il periplo atlantico: un’esplorazione fra mito geografico e prassi commerciale
(a cura di Diego Borghi)
La figura di Eutimene emerge da una tradizione storiografica lacunosa, che spesso riduce i protagonisti dell’esplorazione atlantica greca a meri nomi. Tuttavia, rispetto ad altri navigatori dell’epoca, Eutimene ci ha lasciato almeno un frammento che, sebbene trasmesso indirettamente, consente di intravedere l’eccezionalità della sua impresa. Secondo Marciano di Eraclea (FGrHist 647 F 1,5) e Seneca (Naturales Quaestiones, 4.2.22), Eutimene navigò nell’Oceano Atlantico e giunse nei pressi di un grande fiume popolato da coccodrilli, da lui identificato come il Nilo.

La navigazione di Eutimene è da collocarsi con buona probabilità tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., in una fase in cui Massalia (l’odierna Marsiglia), fondata intorno al 600 a.C. dai Focesi, consolidava la propria egemonia commerciale nel Mediterraneo occidentale. A supporto di questa datazione vi sono i riferimenti di Erodoto (2.21) alle teorie sull’origine oceanica del Nilo, che potrebbero contenere un velato riferimento all’impresa eutimenea, e la testimonianza di Elio Aristide, secondo cui Eutimene fu fonte di Eforo, vissuto nel IV secolo a.C. (cfr. Aelius Aristides, Aegyptus).
Il fiume dell’Atlantico e la questione dell’identificazione. Il problema principale dell’impresa eutimenea risiede nell’identificazione del fiume da lui raggiunto. Sebbene nelle fonti si parli esplicitamente del Nilo, è altamente improbabile che Eutimene abbia superato l’equatore e navigato fino alla foce del grande fiume africano. Gli indizi geografici e climatici, insieme ai limiti tecnici della navigazione antica, suggeriscono che il fiume in questione fosse in realtà il Senegal. Questo corso d’acqua presenta, infatti, caratteristiche analoghe a quelle nilotiche: la presenza di coccodrilli e ippopotami, l’acqua dolce che si estende per chilometri nell’oceano e un ciclo di piene tra giugno e settembre, alimentato dai venti settentrionali (etesii) – gli stessi che Eutimene ritenne causa del fenomeno.
Le fonti antiche: frammenti, testimonianze e polemiche. Numerose fonti antiche fanno riferimento al viaggio di Eutimene. Tra le più importanti:
- Seneca (Naturales Quaestiones 4.2.22) cita direttamente le parole del navigatore, sottolineando il legame tra le piene del fiume e il soffiare degli etesii, attribuendogli l’osservazione della dolcezza dell’acqua e la presenza di fauna fluviale simile a quella nilotica.
- Elio Aristide, nel suo trattato Sull’Egitto, riporta una critica a Eutimene, accusandolo di invenzione e sottolineando l’assenza di simili fenomeni nelle testimonianze fenicie e cartaginesi.
- L’Anonimo Fiorentino e Giovanni Lido confermano la connessione tra vento, piene e fauna, mentre Aezio omette ogni riferimento ai venti, pur riportando l’impresa.

È interessante notare che tutte le fonti, eccetto Aezio, enfatizzano il ruolo dei venti etesii, teoria che potrebbe derivare dalle ipotesi di Talete di Mileto (DK 11 A1), secondo il quale questi venti frenavano il deflusso del Nilo verso il mare.
Massalia tra esplorazione e commercio: le motivazioni dell’impresa. La spedizione di Eutimene va inserita nella più ampia strategia commerciale ed espansionistica di Massalia. Nel IV secolo a.C., la polis era all’apice della sua potenza e tentava di ridurre l’intermediazione cartaginese lungo le rotte occidentali. L’impresa eutimenea rappresenta il versante meridionale di un progetto che trova il suo completamento con la spedizione di Pitea verso il nord Europa. Le due esplorazioni risultano, quindi, geometricamente opposte ma strategicamente complementari, orientate a stabilire nuove vie commerciali per lo stagno, l’ambra e altri beni preziosi.
Cartagine e il controllo delle rotte occidentali. Nel periodo in cui si colloca l’impresa di Eutimene, Cartagine era impegnata in conflitti con Siracusa e, successivamente, con Roma. Questo indebolimento del controllo fenicio-cartaginese sulle rotte atlantiche permise a Massalia di esplorare territori fino ad allora chiusi alla navigazione greca. Le informazioni geografiche e zoologiche sull’Atlantico probabilmente circolavano già nelle élite marinare grazie a contatti informali e spionaggio commerciale, facilitando il progetto di esplorazione massaliota. L’impresa di Eutimene rappresenta un momento di sintesi tra geografia empirica e narrazione mitopoietica. Sebbene i suoi dati non sempre risultino accurati, la sua opera segna un passo fondamentale nella conoscenza dell’Atlantico da parte del mondo greco. Più che un semplice esploratore, Eutimene si configura come un “ponte” tra le teorie cosmologiche ioniche e l’esigenza commerciale delle poleis occidentali. Il suo errore di identificazione non toglie valore alla portata conoscitiva della sua spedizione: fu tra i primi Greci ad avventurarsi nei litorali africani atlantici, lasciando traccia di un’esperienza che, seppur avvolta da incertezze, ha alimentato per secoli il dibattito geografico e filosofico sul Nilo, l’Oceano e i confini del mondo conosciuto.
di Riccardo Renzi e Diego Borghi

Immagine in copertina: Carta Marina di Olao Magno – Wikipedia
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