Questa storia ha inizio con un piccolo animale alato che porta in volo con sé, tra le zampe, un fiore. Lo tiene stretto nel suo volo, verso nuovi mondi, per seminare bellezza. Per spargere sapere. Quell’uccello che potrebbe assomigliare ad un ippogrifo mitologico, è il simbolo ormai riconosciuto nel mondo, tra gli amanti ed i cultori della musica, di una fucina unica e meravigliosa, un luogo dove poesia e respiro del legno vengono ascoltati, capiti, empatizzati e poi plasmati per diventare strumenti, ognuno diverso, ognuno con una propria anima: è la Liuteria Piazzetta a Lamezia Terme (CZ). Vincenzo Piazzetta ne rappresenta l’anima visionaria, fondatore, mente creativa, mani, testa, cuore… tutto.

E quell’animale mitologico? Viene dal passato, da una bellissima storia di famiglia: era il timbro che accompagnava il mestiere del nonno, omonimo, che rilegava a mano libri prestigiosi e che a sua volta aveva ereditato quel timbro dal suo maestro che lo aveva tenuto in bottega.

Vincenzo Piazzetta, in un terzo millennio che corre alla velocità della luce, ha scelto la lentezza. Ha scelto non di produrre in serie ma di fare di ogni singolo pezzo qualcosa di unico e irripetibile. Ha scelto la continuità col passato, con quell’eredità preziosa (di mano in mano) del nonno che realizzava volumi e che oggi con lui è diventata musica, in un “volo” che continua. E le sue opere sono vere sculture di suono dove l’anima di un albero si fa strumento poiché Vincenzo Piazzetta sa ascoltarla, capirla, tradurla. Un mestiere alchemico fatto di rispetto per ogni dettaglio, ogni singolo microscopico passaggio, in cui la fretta non può essere ammessa. «Le emozioni, le tensioni, la felicità, permeano il legno e lo strumento diviene inevitabilmente una parte di me; è come un diario al quale affido dubbi e pensieri, a cui lascio la libertà di perdersi».

Quando è iniziato questo straordinario “volo”?
«Il mio approccio alla liuteria avviene nel 2003, all’epoca ero neolaureato e frequentavo uno studio commercialistico di Firenze, preparandomi agli esami di stato che mi avrebbero legittimato alla professione. Avevo interesse, a livello amatoriale, per la musica tradizionale, suonavo l’organetto e un giorno, un po’ per caso e un po’ per destino, incontrai Natale Rotella, un esponente del mondo agro-pastorale, pastore e costruttore di strumenti a fiato. Nel tempo diventò amico e maestro, educandomi negli anni, con l’esempio, alla costruzione della zampogna conflentana [Conflenti è un paese in provincia di Catanzaro] e influenzando profondamente il mio approccio alla costruzione della Lira Calabrese. Questo rapporto, che ha portato a un confronto continuo e privo di filtri, è stato principalmente marcato dalla trasmissione del suo sapere e da una concezione costruttiva che si discosta totalmente dai principi della liuteria classica».


Quanto è durata questa fase di studio e pratica immersiva?
«Circa diciassette anni è stato il tempo che ho trascorso con Zio Natale al pascolo, tempo in cui ho capito che costruire a mano una zampogna implica una varietà di conoscenze fondamentali: la lavorazione della pelle per ottenerne un otre; saper costruire lo strumento, senza ausilio di mezzi elettrici bensì con il solo uso di succhielli, asce, raspe, coltello, vetro. E poi la conoscenza del periodo giusto per la raccolta del materiale ligneo e dei luoghi adatti alla raccolta; lo studio dell’esposizione della pianta rispetto al sole; la scelta di un legno sonoro e non da ultimo, la conoscenza delle varie tecniche di stagionatura. Inoltre, un fattore importante che ha influenzato l’origine del mio suono è il luogo del pascolo: boschi, suoni della natura e dell’ambiente, il suono degli animali e i loro campanacci. Un paesaggio sonoro (con un’estetica sonora) profondamente distante dal contesto della vita frenetica urbana».

Qual è la sua visione di suono?
«Il suono dei miei strumenti non è frutto dell’applicazione di misure standard ma è frutto della lavorazione dello stesso in funzione di un risultato preposto. In questa visione, parto da un’idea di suono intorno al quale tentare di costruire lo strumento. Penso che l’essenza dello stesso strumento sia composta dall’incontro di tre anime. La prima è quella dello strumento stesso: una lira deve suonare come tale e non in maniera differente, al fine di esprimere in pieno l’idea del suono. La seconda è quella del costruttore: trascorrendo molte ore a lavorare il legno, inevitabilmente quelle che sono le emozioni, le tensioni, la felicità, attraverso le mani, permeano il legno stesso. C’è poi una terza anima, che è quella del suonatore. Qui si aprono due scenari: ci sono strumenti realizzati e messi da parte in attesa dell’incontro con chi in quel suono si ritroverà, altri invece sono costruiti su richiesta e per questi è fondamentale conoscere chi suonerà, affinché voce della persona e suono dello strumento si possano integrare e le emozioni si ritrovino nel vibrare del legno».

Gli strumenti non suonano soltanto ma parlano di storie?
«Ogni mio strumento racchiude dentro una storia unica, composta da più elementi, ricca di sapienza e paziente amore. Poi ci sono i materiali, selezionati e abbinati con cura, in funzione del suono e delle peculiarità che lo strumento dovrà sfoggiare. C’è il tempo, elemento fondamentale a comprendere il legno, disegnarlo, necessario per asportare con paziente lentezza tutto il materiale in eccesso che ingloba lo strumento ancora in divenire. Ci sono i pensieri, le scelte che in ogni istante devono essere affrontate per ottenere il risultato preposto. Le mani, vero strumento di lavoro, che per gravità trasmettono al legno tutto ciò che dalla testa parte e attraversando il cuore da esso, viene mediato. E infine, ci sono le persone, che con le loro richieste e i loro riscontri, contribuiscono in modo fondamentale alla realizzazione di strumenti di qualità».

Ci salutiamo con l’immagine che ha dato inizio a questo nostro incontro. La storia dell’animale alato simbolo del suo lavoro che vola verso nuovi mondi… Dove vola adesso il suo pensiero? Qual è il suo sogno per la Lira calabrese?
«Nel rispetto dell’organologia dello strumento e del repertorio precedentemente recuperato, il mio obiettivo fondamentale è il desiderio di svincolare lo strumento dal mondo della tradizione calabrese, per vederlo inserito in nuovi contesti musicali».
di Caterina Misuraca
