Il Castello di Miradolo è un luogo da favola, a partire dal nome. Uno spazio sospeso nel tempo, a pochi chilometri da Torino, a San Secondo di Pinerolo, immerso nel verde di una tenuta di oltre sei ettari che parla di storia e voglia di rinascita. Qui, oltrepassati i cancelli della dimora settecentesca, è in atto un dialogo raffinato e concettuale: all’esterno il parco secolare con ben cinque alberi monumentali, l’orto botanico, numerose specie esotiche e un camelieto con centotrenta cultivar. Dentro, fino al 22 giugno 2025, la mostra “Di erbe e di fiori. Da Besler a Penone, da De Pisis a Cage”.

Le antiche sale aprono in questi giorni le porte a una nuova primavera, non solo atmosferica. Merito di un evento che indaga l’abitudine di creare erbari, piuttosto in voga in un passato che ai nativi digitali sembra a torto lontano: è pratica scientifica, certo, appannaggio per lo più di botanici ed esperti, ma anche privatissimo album dei ricordi di passeggiate e stagioni felici. L’esposizione affianca erbari storici all’interpretazione di artisti moderni e contemporanei che hanno costruito opere specchio del proprio tempo e del presente. Racconta la necessità dell’uomo di classificare e misurare il mondo per conoscerlo ed esorcizzare le paure generate dall’ignoto. Invita l’osservatore alla meraviglia. È lezione di pazienza e cura che tramuta una materia apparentemente fragile, in un insieme capace di sfidare il tempo.

La stessa filosofia, verrebbe da dire, alla base della rinascita del Castello di Miradolo che nel 2024 ha festeggiato i duecento anni del progetto dal paesaggista ottocentesco Xavier Kurten, consegnandolo alle generazioni future. Dopo anni di abbandono, parco e castello si sono risvegliati a nuova vita grazie al coinvolgimento dell’architetto Paolo Pejrone e ad un’operazione graduale e meticolosa, raccontata da Paola Eynard e Maria Luisa Cosso, rispettivamente vicepresidente e presidente della Fondazione Cosso che si occupa della custodia del bene e del suo recupero: “Prendersi cura di questo luogo – spiegano – ascoltare il suo genius loci, ha voluto dire negli anni passeggiare, osservare, immaginare, sostare in contemplazione. I luoghi ci raccontano molto di ciò che sono e di ciò che hanno vissuto.

Il castello e il suo parco, dopo settant’anni di offese e di abbandono, sono tornati a risplendere. La rinascita di questo luogo aveva bisogno di amore, tempo, competenza”. Così come di eventi capaci di ricreare un cenacolo culturale tra le antiche mura. La mostra annuale è dunque appuntamento ormai fisso con il pubblico. E il 2025 regala un’esposizione che lega, come da tradizione, arte e natura, passato e presente, architettura e musica. Curata dalla Fondazione Cosso e da Roberto Galimberti, con la consulenza iconografica di Enrica Melossi, la mostra inizia con l’opera dell’americana Helen Mirra, omaggio al percorrere lo spazio che si fa esercizio di conoscenza, di etica, di cura. Come la pratica del camminare che è sottesa alla raccolta delle specie per la creazione di un erbario. E si conclude nella cappella del castello, dove gli affreschi che riproducono episodi della vita di San Giovanni fanno da contraltare all’opera dell’artista sudafricano Robin Rhode, intitolata Harvest (Raccolto). Nel mezzo si alternano materiali, interpretazioni, giardini in miniatura e storie personali. Così tante che è difficile raccontarle tutte.

Ci sono i libri aperti di Ugo La Pietra, “amante e raccoglitore di essenze da erbario”, che descrive così i suoi lavori: “Ho cercato di lasciare più profonde tracce, incidendo libri di ceramica ingobbiata. Tracce e non reperti: impossibili da raccogliere perché inventate, destinate a essere conservate nel tempo. La materia si svela e il contenuto è colto da chi lo legge”. Poco oltre rivivono le passeggiate di un bambino nella campagna ligure, insieme al padre. Nasce così la passione per gli erbari che travolge anche il poeta Camillo Sbarbaro e lo farà diventare lichenologo. Negli anni raccoglie ben 2.574 esemplari oggi conservati al Museo di Storia Naturale di Genova. “Sui licheni scrissi fin troppo – dice lui ad un altro grande ligure e interlocutore d’eccezione, il poeta Eugenio Montale – nessuna conoscenza specifica, solo curiosità, piacere visivo, simpatia: la stessa che mi fa avvicinare a tutto quello che non è vistoso, per gli altri senza importanza, misero. I licheni sembrano lo specchio di una frammentarietà poetica autentica ed esistenziale, di una marginalità consapevole”.


Colpisce l’osservatore anche il sogno impossibile di un giardino eternamente vivo e in fiore: quello perseguito dal farmacista tedesco Basilius Besier che nella Norimberga di inizio ‘600 raffigura a grandezza naturale le 1084 piante del giardino del vescovo Johann Konrad von Gemmingen, suo committente. Foglie ed erbe dell’Hortus Heystettensis sono impresse su 367 tavole di rame e acquerellate a mano su carta vergellata, una per ogni giorno dell’anno, divise nelle quattro stagioni, in un calendario immaginifico che scandisce l’inesorabile scorrere del tempo e, insieme, lo fissa per sempre.

Anche il giovane Filippo De Pisis, nel 1907, raccoglie più di mille erbe, classificate in una collezione donata all’Orto Botanico di Padova tra il 1916 e il 1917. Nelle composizioni affiorano aspetti che caratterizzeranno la sua pittura negli anni, quando le tracce del vero sconfinano le forme. I fiori di De Pisis, seppur recisi e in vaso, sembrano sbocciare nel colore stesso. Fanno musica le piante dell’artista concettuale e poetessa visiva, Betty Danon, che nei Green Sounds riposano sul pentagramma. Sembrano attendere la fioritura che, nel linguaggio musicale, è l’inserimento nella melodia di una o più note la cui funzione si compie soltanto nell’esecuzione.

Ma gli erbari a Miradolo parlano anche d’amore. Quello di Carlo Lupo, pastore valdese e poeta, soldato in trincea durante il primo conflitto mondiale, sostenitore della Resistenza e pacifista. La sua corrispondenza con la fidanzata Lily Malan, con i fiori raccolti in tempo di guerra e acclusi alle lettere, forma un involontario Erbario sentimentale, custodito in piccole buste, racconto e memoria di un tempo sospeso, scampato all’oblio. Ancora amore, questa volta coniugale, traspare dall’Erbario di Ada e Alfonso Sella che racconta trent’anni di vita insieme e di ricerche botaniche condotte dal 1954 al 1984, racchiuse in 2539 fogli. Che nascondano il segreto per un’unione felice e duratura?

In mostra si incontrano anche gli erbari storici di Carlo Allioni, Pierre Edouard Rostan e le opere di Vincenzo Agnetti, Björn Braun, Chiara Camoni, Adelaide Cioni, Piero Gilardi, Giorgio Griffa, Wolfgang Laib, Christiane Löhr, Mario Merz, Richard Nonas, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Thomas Shütte, Alessandra Spranzi e Michele Zaza. Il viaggio tra arte e natura del visitatore è accompagnato dal tappeto musicale creato a cura del progetto Avant-dernière pensée: l’installazione sonora è rilettura del brano In a Landscape, composto da John Cage nel 1984 e qui riproposto nell’esecuzione simultanea di due pianoforti. La mostra, che prevede anche percorsi didattici per i più piccoli intitolati “Da un metro in giù”, è visitabile secondo il seguente orario: sabato, domenica e lunedì dalle 10 alle 18.30.
di Antonella Gonella
Fotografie: gentile concessione della Fondazione Cosso – fondazionecosso.com/di-erbe-e-di-fiori-erbari-dautore/