Anche se proibito di Giulio Ravizza (Bookabook Editore) porta per la prima volta nel panorama editoriale la storia del Museo di Nukus, capitale della Repubblica desertica del Karakalpakstan. La narrazione vede come snodo permanente l’avventura di Igor Vitalyevich Savitsky che, dal 1966 al 1984, convinse le vedove dei pittori repressi da Stalin a cedergli i quadri dei mariti. In diciotto anni Savitsky costituì così una delle più grandi collezioni al mondo di avanguardie, con capolavori cubisti, futuristi, suprematisti e costruttivisti degli anni ‘20 e ’30 del secolo scorso.

Alla base delle motivazioni che hanno spinto Savitsky a rischiare la vita, l’autore Ravizza ipotizza esserci l’esperienza del trauma. Savitsky, infatti, a quattro anni, nel 1919, vide un gruppo di rivoluzionari bolscevichi incendiare la maestosa dacia dei genitori, raffinati collezionisti di avanguardie. Ne sarebbe derivato un disturbo ossessivo-compulsivo che lo portò a salvare opere d’arte come tentativo disperato di spegnere l’incendio della sua casa d’infanzia.

Nato nell’aristocrazia zarista a Kiev alle soglie della Rivoluzione d’Ottobre, Savitsky affronta la fine dell’impero di Nicola II e l’affermarsi del comunismo. Costretto a dimenticare i lussi del passato, cresce in clandestinità coltivando segretamente il proprio amore per l’arte. Cubismo, astrattismo, futurismo e suprematismo costituivano l’humus che animava gli atelier dell’Arbat, crocevia dei pittori moscoviti. Tutto questo fino al 1934, quando fu stabilito che ogni opera avrebbe dovuto aderire allo stile del Realismo Socialista: una pittura-réclame di leader radiosi, inaugurazioni di fabbriche e working class heroes.

Alcuni pittori fuggirono all’estero, altri si piegarono agli ordini della propaganda e altri ancora continuarono a dipingere liberamente. Su questi ultimi si abbatté la furia di Stalin e, più tardi, l’ossessione di Savitsky fu di salvare i loro lavori. Lo ha fatto muovendosi tra le pieghe della burocrazia sovietica, accettando di rischiare continuamente la vita, e nascondendo i capolavori là dove il KGB non avrebbe cercato: nel cuore del deserto della Repubblica Autonoma del Karakalpakstan.

A fronte di tale impegno, la comunità degli artisti russi e quella scientifico-artistica a livello mondiale riconoscono a Savitsky il salvataggio di opere che sarebbero, altrimenti, andate perdute. Oggi, grazie al suo impegno, la collezione del Museo di Nukus è riconosciuta come la seconda più grande al mondo per importanza, guadagnandosi a buon diritto il soprannome “Louvre del deserto”.

Il romanzo di Giulio Ravizza è un testo intenso sulla ricerca di un ricongiungimento impossibile, su un’ossessione sequestratrice e sull’illusione di poter fermare il tempo. Un romanzo in cui i fatti più assurdi sono veri, mentre quelli normali inventati. Un’opera che racconta come, anche nei tempi più bui, ci siano uomini capaci di vedere la bellezza.

Sul tema, Venezia ha ospitato nella sede prestigiosa di Ca’ Foscari Esposizioni, dal 17 aprile all’8 settembre 2024, una magnifica mostra sostenuta dalla Fondazione Uzbekistan Cultura e curata da Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, direttore del Centro Studi sull’Arte Russa dell’Università Ca’ Foscari: è stato un evento unico poiché è stata la prima volta che questa pagina straordinaria e ancora poco nota dell’arte della prima metà del XX secolo è stata offerta al pubblico italiano e del mondo occidentale. Di seguito il link:
globusrivista.it/lavanguardia-nel-deserto-una-storia-mai-raccontata/
di Emilio Tripodi
Immagine in copertina: La copertina del romanzo Anche se proibito, scritto da Giulio Ravizza per i tipi di Bookabook (2025)
