I tempi del pianeta e quelli dell’uomo
Se guardi il mare viene spontaneo intuire l’imponenza della Natura e pensare: La Terra è prima dell’uomo e di qualsiasi altra specie vivente e per questo vivrà comunque.
L’uomo è capace di determinare il riscaldamento climatico e con i suoi comportamenti ridirezionare i cammini della natura? E se questa riflessione fosse un ulteriore delirio di onnipotenza umana? Una questione cosi delicata necessita dell’aiuto di chi i fenomeni, soprattutto quelli naturali, li osserva da sempre, senza show e ordini, ma con consapevolezza e meditazione. La meta è lontana e non dipende dagli altri ma da ciascuno di noi, anche quando ci illudiamo di aver compreso che l’agricoltura intensiva possa contaminare la nostra dieta ed incrementare la concentrazione volumetrica di gas climalteranti. Quella che viene indicata come emergenza ambientale è un fenomeno molto complesso, condizionato da numerose variabili, intrinseche al sistema Terra-Sole, al tipo e all’organizzazione della società, ai suoi comportamenti, alle azioni quotidiane e agli effetti che questi hanno sulla natura, intesa non come lo spazio fisico che ci ospita ma un’unica armonia in cui noi siamo solo i custodi.
L’energia è la questione delle questioni
Quanto costa ambientalmente produrre un bene o un servizio? Qual è lo zaino ecologico di un oggetto? È folle scegliere i beni e i servizi in funzione del costo ambientale? Il Pianeta infatti è un sistema limitato. Il motore della produzione dei beni e servizi, quello che gli economisti chiamano il fattore di produzione primario, è senza alcun dubbio l’energia, come si produce, si trasporta e soprattutto con quale volontà si consuma, si impiega o si spreca. Uno tra i più eccellenti sperperi sono le industrie delle armi. L’energia è senza alcun dubbio la questione delle questioni. Si esce dalle paludi delle pseudo verità solo con un approccio matematico sistemico della questione ambientale, in grado di garantire una redistribuzione equa delle risorse, attualmente polarizzata. Una modalità rigorosa per stimare la sostenibilità di un determinato sistema antropico è quella di applicare gli indicatori di sostenibilità, strumenti che permettono di valutare il livello di sfruttamento delle risorse naturali, la capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del sistema e l’impatto dell’uomo sull’ambiente, soprattutto quando si tratti di cicli di produzione.
Un nuovo concetto di sviluppo non solo è auspicabile ma necessario. La teoria dello sviluppo sostenibile, così come ci è stata tramandata non ha prodotto i benefici auspicati.
Ecosistema e sviluppo
Secondo alcuni, infatti il termine sviluppo è per definizione insostenibile, e dunque i benefici della teoria sono minati già all’origine. Le risorse naturali che l’ecosistema rende disponibili non sono beni da “consumare e/o sprecare” per controllare l’unico indicatore che mette tutti d’accordo: la crescita. Il prelievo indefinito di risorse naturali che l’uomo pratica senza rispettare il “tempo naturale” del Pianeta per l’autorigenerazione (carrying capacity), insieme allo stato di salute dello stesso (l’aumento della temperatura), sono vincoli del modello attuale di sviluppo e priorità del nostro tempo. Insistono oramai consapevolezze comuni che un prelievo incontrollato di risorse non sia praticabile nel lungo termine.
“Pensare globalmente ed agire localmente” e poi “pensare localmente per agire globalmente”, erano le bandiere e gli imperativi degli ambientalisti già nel secolo scorso.
Il Sole non manda sulla Terra sempre la stessa energia
Secondo una scuola di pensiero, non del tutto singolare, la questione ambientale è mal posta e artatamente confusa con quella che comunemente va sotto il nome di riscaldamento del Pianeta, a cui si associa inevitabilmente il cambiamento climatico. Il ciclo undecennale delle macchie solari osservato già da Galileo Galilei o quello di Gleissberg, il ciclo degli ottanta anni, tutti fissati in archivi terrestri come gli anelli degli alberi, i ghiacci polari o i sedimenti marini anche del Mar Ionio, riscontrano una buona validità della ipotesi Gaia: la variabilità dell’attività solare influenza il clima terrestre. In altro modo, il Sole non manda sulla Terra sempre la stessa energia, ma da sempre questa è variabile e segue dei cicli più o meno regolari che sono impressionate in numerose fotografie terrestri. Da qui, il Sole che forza il clima terrestre e lo modula. Più recentemente, i cicli di Milanković – variazioni cicliche sui parametri orbitali terrestri, eccentricità orbitale, inclinazione assiale e la precessione dell’orbita – valorizzano l’ipotesi che la mancanza delle stagioni, o gli inverni miti e le estati torride, siano frutto della interazione del complesso sistema Terra-Sole e del comportamento dei parametri terrestri. Per dirla in modo rigoroso ma lineare, la variazione della temperatura terrestre è una macedonia di variazioni: la variazione della costante solare, le eruzioni vulcaniche e il fattore antropico. E quello che sappiamo con verità è che questi contributi sono affetti da incertezze non facilmente stimabili, soprattutto in termini di feedback, positivi o negativi, che influenzano il modello.
Disequilibri
Per esempio, l’aumento di temperatura riduce l’albedo, che è la superficie che riflette una parte della radiazione solare. Quindi, un effetto apparentemente negativo (riduzione albedo) ne induce però uno, apparentemente positivo nel computo del bilancio energetico, poiché ciò equivale ad avere meno energia solare riflessa e intrappolata. Questo evidentemente non assolve lo scellerato comportamento antropico, ma deve condizionarlo. Ciò equivale a dire che l’uomo non è in grado su larga scala di far aumentare il numero di uragani, di eruzioni vulcaniche o di provocare terremoti in un anno. Egli però è capace di segare il ramo dell’albero su cui è seduto. Se distruggi le biodiversità e produci rifiuti non facilmente smaltibili, generi due fondamentali disequilibri: si altera il sistema dell’equilibrio naturale e si modifica la capacità del sistema immunitario umano e della Terra di difendersi dalle neopatologie e ciò potrebbe tradursi in un superamento della specie vivente.
Scegliere vie meno impattanti
Dal primo rapporto sui limiti dello sviluppo (1972),studio commissionato dal Club di Roma al MIT di Boston passando per le tappe più importanti, dalla Conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, ai giovani di Greta Thunberg (2019), la questione ambientale, con forme e modalità di intervento diverse è stata oggetto di qualche interesse. Per dirla in altre forme tutti sanno che c’è, ma la maggior parte di noi nulla fa o realmente niente sa, su ciò che “debba fare per poter fare”. Infatti, ciò nonostante, l’attuale modello di crescita ha contribuito ad aumentare i fattori di pressione sull’ambiente, uno su tutti, il più familiare e quasi indisturbato agente fisico inquinante: i rifiuti. Le percentuali di raccolta differenziata dei rifiuti salgono ma cresce con tasso continuo ed inesorabile la produzione dei rifiuti urbani e industriali: aumenta complessivamente l’impatto sulla natura. Ridurre la produzione dei rifiuti e i consumi sembra essere un slogan e un insulto all’economia, ma è l’unica strada. La sfida non è trovare altri colori ad un modello economico che viola i vincoli termodinamici o inventarsi eroi o paladini della crisi climatica, o ancora, organizzare la manifestazione sul clima più partecipata del mondo. Si tratta di “vivere semplicemente per permettere agli altri e a generazioni future semplicemente di vivere” (Gandhi). Dobbiamo misurare il nostro impatto ambientale quotidianamente e scegliere le vie meno impattanti. Solo cosi possiamo ridurre il contributo antropico alla variazione di temperatura, e sperare che il sistema Terra–Sole segua le sue ordinarie ciclicità.
Salvatore Procopio – fisico