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‘Ntonimaria.  Racconto ed emozioni di un’esplorazione nelle viscere della terra  

7 gennaio 2023. Da anni, anzi decenni, da quando è avvenuta la mia iniziazione speleologica, risuona nella mia mente, forse nei racconti intorno a me, il nome di questa grotta. Forse perché a chiunque ci sia stato chiedo mille informazioni, forse per le migliaia di ricerche e letture fatte a riguardo, prima online poi tramite speleo piemontesi, fino ad arrivare finalmente alla fonte, passando per il mitico Vittorio Luzzo che è il padrino della grotta, per Donatella Vaccotti che ha insinuato in me il desiderio della speleologia, per l’eclettico Pino Greco e le sue colorite descrizioni, per Robertelli e la sua misteriosa ironia.

 

Ho letto e riletto tutti i numeri di “Labirinti” del Gruppo Grotte di Novara in cui si parlasse della storia esplorativa e disostruttiva nonché goliardica di lei, della ‘Ntonimaria, fino a sentirmi proiettato in quella cavità. Non ancora soddisfatto del tanto parlare di tutti, ho contattato lui, GDC, Giandomenico Cella, un nome importante della speleologia italiana, un personaggio che staresti ad ascoltare per ore!

Nel frattempo, ignorando ancora le coordinate geografiche dopo innumerevoli tentativi di conversione del sistema UTM datum ED50 che mi portava sempre in un punto in alto mare a largo della costa lametina, seguendo scrupolosamente le indicazioni di “Labirinti” e non più le mie congetture territoriali e visive, sono finalmente approdato al tanto atteso antro. Eureka! Percorso palmo a palmo tutta la colata stalattitica-stalagmtica che chiude letteralmente la grotta, ispezionato il meandrino cieco a sinistra, annusata l’aria a destra, infilato la testa in basso al centro… nulla da fare al primo incontro. Anche, devo dire, per la fretta del mio compagno d’esplorazione, Francesco Colao, non ho avuto modo di affacciarmi oltre l’antro non riuscendo neanche a scorgere il buco di ingresso e pensando addirittura che negli anni, qualche evento climatico l’avesse chiuso nuovamente. Quel pomeriggio sarei rimasto lì fino a notte per guardare e riguardare, per sedermi sul calcare millenario e godermi l’incontro ma, ahimè, non è stato possibile.

Una volta a casa, riesaminando le foto con la perizia di un collezionista, ho notato al centro, sopra al buchetto soffiante, il taglio nelle concrezioni e atteso con ansia di tornare a dare un’occhiata. Ho persino acquistato un piede di porco nell’eventualità ci fosse ancora la fatidica sbarra con lucchetto la cui chiave è stata smarrita (?) chissà da chi, chissà dove!

4 marzo 2023. È arrivato e trascorso dicembre, tutti presi dal clima natalizio giorno e notte e, da solo non mi sono avventurato anche perché avrei voluto condividere con qualcuno un momento così importante per me come solcare quella soglia che, nel mio immaginario, non era più stata violata da trentatré anni. Finalmente, per una serie di congiunzioni astrali fortunate, il 7 gennaio 2023 eccomi risucchiato nel ventre agognato della mia grotta, incubo e sogno di sempre! Una piccola ma produttiva squadra: io, Giampaolo Pinto e Norma Damiano nella buca da lettere! Il così ribattezzato buco d’accesso è una sorta di diaframma largo 45 cm ed alto 40 cm in cui infili testa e braccia ed annaspi un po’ con i piedi, almeno la prima volta, per spingerti e scivolare dentro.

È così che inizia l’avventura! Dunque, violata la buca da lettere, a passo di verme, si è subito catapultati in un tripudio di concrezioni dorate o sfumate d’arancio e bronzo e di ossidi ferrosi che dipingono questa bomboniera di durissimo calcare. Un meandrino in salita, basso ma largo, porta alla stanzetta dei candelabri il cui fondo, un tempo, doveva essere allagato come testimoniano la forma delle microscopiche concrezioni ed i bordi affilati delle vaschette; solo un assaggio di ciò che, questa piccola grande caverna, custodisce da millenni! A sinistra della buca da lettere, ecco la fatidica nicchia di cui tutti raccontavano. Sarà che sono diversamente alto ma, tutte le difficoltà decantate, almeno in entrata, non le ho riscontrate. Si va il più possibile in alto in questa nicchia per entrare con i piedi nel buco che sovrasta P3, i piedi incontrano subito una parete “appigliatissima”, proprio come mi era stato detto e, senza necessità di corde, si disarrampica atterrando in una saletta ramata tra stalattiti e stalagmiti che quasi si baciano in alcuni punti, mentre sono già felicemente, indissolubilmente sposate in altri.

Ed eccoci subito a P6, io e Gianpaolo, con armo su concrezioni, si scende di pochi metri (sei appunto!) su corda per prudenza ma, anche in libera appare agevole. Ispezioniamo, con descrizione alla mano, tutta la saletta in cerca del passaggio: in basso chiude, in alto nulla; spalle alla corda guardando a sinistra è l’unica direzione possibile in un meandro ricavato dal taglio di una colonnina al di là della quale non si scorgono passaggi ma si percepisce una leggerissima corrente d’aria. Ripercorriamo tutte le direzioni e torniamo persino nella saletta precedente e invece il buco malefico, in realtà il più ostile di tutti, è lì, una spaccatura diagonale-verticale larga (stretta!) circa trenta centimetri e lunga forse cinquanta, in cui far passare prima le braccia, la testa, torace, sedere naturalmente senza imbraco, dopo aver abbracciato intimamente una stalagmite grassa e bassa che ricorda una matrioska dai fianchi larghi! Matrioska che si rincontra al ritorno, face to face, imprecando con un braccio incastrato in un V di roccia ed una gamba da divincolare sotto l’altra in una scanalatura che la trattiene gelosamente!

Mi dico che la prossima volta metterò il sacco sotto. Pregando in russo che presto tutto possa essere più ampio e comodo, si attraversano le Strette del Pagetto anche se, onestamente, dopo il buco della Matrioska (così l’ho soprannominato), mi pare di percorrere un’autostrada! Sbuchiamo in cima ad una sala di crollo, a sinistra, sempre spalle alle Strette di cui sopra, si scende su roccette e in opposizione per cinque-sei metri (un altro P6?) e si imbocca lo scivolo; uno spit (chiodo) trentennale testimonia l’inizio della calata; si scende facilmente fino a dove scampana. Essendo rimasti in due con un surplus di sacchi e trapano, eccetera, per esplorare abbiamo lasciato tutto oltre la matrioska, dunque per questa prima visita il nostro giro finisce qui, con un po’ di fastidio forse, ma con un’immensa felicità per il sogno avverato e per il sollievo di essere accolto alla perfezione dai tre famigerati passaggi che molto mi hanno preoccupato ed assillato negli anni!

4 marzo 2023. Proprio come si fa con una donna, l’ho guardata e riguardata da lontano, sono tornato a sfiorarne i lineamenti, ho letto e riletto i suoi segreti più profondi, fino a tornare da lei! Penetrare l’antro è un parto controcorrente; quando la testa è dentro, il resto del corpo la segue scivolando come in un rito ancestrale, nelle viscere del ventre terrestre. I passaggi a lungo agognati ed ugualmente temuti, alla seconda visita sono già divenuti familiari; in breve tempo siamo già allo scivolo e a P8. Circa trenta metri verso il centro della terra. Quelli che per altri sarebbero inferi, in realtà nascondono e proteggono quanto di più simile al paradiso possa esistere quaggiù!

A fine corda, come approdato sulla luna, mi spoglio in fretta di ogni peso e impedimento, voglio arrivare immacolato e senza fronzoli a questo appuntamento al buio così a lungo bramato! È così che, improvvisamente, nella Sala dell’Ignoto, divengo sordo e le voci dei miei compagni (Giampaolo Pinto, Mariateresa Logiudice, Luana Macrini, Pasquale Schifino) svaniscono nel grande spazio che ci sovrasta; anche le loro luci sembrano disperdersi e rimaniamo io ed il mio cono di luce quando sulla mia destra, al di là di un piccolo restringimento, scorgo un palcoscenico di concrezioni abbaglianti dalle più svariate forme e dimensioni.

Il tetto è un lampadario di candele d’avorio capovolte, tutta la volta ne è tempestata, dalle pareti laterali, in ogni dove, scivolano drappeggi di vele e cortine che sfumano dall’ocra intenso al bianco candido, come agitate da un impercettibile vento tiepido. Il pavimento è una delicatissima scacchiera di cristalli e coralloidi, di vaschette che, pur private dall’acqua, ne conservano la forgia.

In punta di piedi e di anima, in estasi contemplativa, attraverso questo spazio alabastrino dove si alternano ancora stalattiti, stalagmiti, vele, eccentriche, ramoscelli, coralli, colonne e muri di accecante calcare! Trovo un letto immacolato e liscio da cui godermi lo spettacolo di ciò che l’acqua ha creato e la terra custodisce da tempo immemore, fiducioso che anche l’uomo che verrà dopo di me in questi luoghi sarà gentile, cauto e discreto come un amante piuttosto che rude e violento come colui che di recente ha martellato e apposto microcariche in cima a P3, per tentare, fortunatamente invano, di adattare il passaggio alle dimensioni della propria ingordigia. Confido ancora nella natura, nella selezione naturale e – forse nell’illusione solo mia – che questa grotta la si debba meritare, studiare, cercare e desiderare prima di profanarne i preziosi abissi.

Ho raggiunto ed accarezzato il Magnificat nello stesso giorno della dipartita di Savina che alcuni decenni fa lo aveva percorso; quasi un’eredità spirituale di cui ora mi sento custode. E ora che il sogno di questa esplorazione è divenuto realtà e la gratitudine ha sopito l’inquietudine dell’ignoto, delle tracce animali in fondo alla grotta ripropongono gli interrogativi di GDC aggiungendo un pizzico di mistero alla magia della ‘Ntonimaria!

Si conclude questo capitolo esplorativo con il mio essere per sempre grato al Gruppo Grotte Novara per l’immenso lavoro fatto per questa grotta, a Giandomenico Cella per aver documentato tutto con dovizia dei particolari e aver tollerato ogni mia domanda, ai miei predecessori che hanno preservato lo scrigno della ‘Ntonimaria, a Giampaolo Pinto che ha reso possibile il realizzarsi di un sogno, ai miei compagni di avventura perché leggere lo stupore nei loro occhi, al cospetto della bellezza, nutre ancora la mia felicità.

di Alessandro Tucci – medico, speleologo

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