La Regio IX è una delle Regiones (quartieri) di Pompei. Negli ultimi anni è stata al centro di nuovi ritrovamenti, in particolare nell’insula numero 10, un agglomerato di edifici che comprendeva spazi sia abitativi che produttivi. L’edificio al civico 1, infatti, era stato parzialmente convertito in panificio, mentre quello adiacente era utilizzato come lavanderia. L’origine del complesso risale probabilmente al II secolo a.C., con un impianto che corrispondeva inizialmente a quello di una tipica casa romana “ad atrio”. Nei secoli successivi la disposizione venne però modificata, tanto che la pianta della casa non risulta più simmetrica. All’interno dei vari ambienti sono stati rinvenuti diversi elementi che fanno pensare che nel 79 d.C. fosse in corso una ristrutturazione: chiodi, tegole ed altri materiali da costruzione, attrezzi da carpenteria ed anfore riutilizzate come contenitori per la calce. Alcuni affreschi all’interno della parte abitativa erano stati già rinnovati, utilizzando quello che viene chiamato il IV stile della pittura pompeiana, quello più recente. Su una parete del tablino sono stati trovati invece segni di tutt’altro genere: una serie di aste e di “X” a carboncino. Di certo non facevano parte delle raffinate pitture ad affresco, ma si ipotizza che fossero correlate a qualche conteggio inerente i lavori in corso, scritto direttamente sul muro.

Si presume che la casa fosse di proprietà di un tale Aulo Rustio Vero, candidato alle elezioni per il duumvirato nel momento dell’eruzione, come si deduce dalle iscrizioni elettorali rinvenute su alcune pareti esterne. La metà meridionale dell’insula è occupata da una domus con affreschi di II stile, ampliata nel I secolo d.C. con l’aggiunta di un quartiere termale e un salone. La struttura appare quasi incompiuta dal punto di vista architettonico, con un salone decorato in III stile a fondo nero e figure mitologiche, che, pur disponendo di una grande finestra, non si affaccia su un giardino, ma su uno stretto cortile con una scala che porta al piano superiore, sotto la quale erano stati stipati altri materiali da costruzione, e realizzati dei disegni a carboncino.

Tra le figure sulle pareti possiamo riconoscere, anche grazie alla scritta in greco che riporta i loro nomi, Elena e Paride. L’affresco rappresenta il momento del loro primo incontro, a cui seguirà il rapimento. La parete opposta presenta altre due figure, prive di didascalia ma identificate dagli studiosi come Apollo e Cassandra. Secondo il mito la ragazza, figlia di Priamo, aveva rifiutato l’amore del dio, e per questo era stata da lui condannata: nessuno avrebbe mai creduto alle sue profezie. Il filo conduttore degli affreschi è quindi quello degli eventi che hanno provocato la caduta di Troia.

Vediamo poi le terme, che si stima potessero contenere circa trenta persone. Ai nostri occhi può sembrare una capienza esagerata per un impianto termale privato, ma bisogna ricordare che per gli antichi romani erano fondamentali il mantenimento delle relazioni sociali e l’ospitalità. Al momento dell’eruzione l’impianto probabilmente non era funzionante, a causa dei lavori in corso e della rottura delle tubature in piombo. Ciò fa pensare che in questa domus nel 79 d.C. mancasse l’acqua corrente, forse per i danni provocati dallo sciame sismico degli anni precedenti. All’interno dell’abitazione è stato rinvenuto anche un ambiente identificato come un sacrario, caratterizzato da pareti affrescate in IV stile a fondo azzurro. I sacrari servivano come spazio per lo svolgimento di riti religiosi privati. È evidente però che questo non era in uso al momento dell’eruzione, dato il ritrovamento anche qui di anfore e materiali da costruzione, tra cui valve di ostriche da cui ricavare calce o pigmento bianco.
Alle pareti si trovano nicchie che in origine sicuramente contenevano le statue delle divinità, che non sono state però ritrovate: potrebbero essere state rimosse già dagli antichi durante i lavori di ristrutturazione, o saccheggiate nelle prime esplorazioni di Pompei del Sette-Ottocento.


Per quanto riguarda gli affreschi, il sacrarium è caratterizzato da uno zoccolo di colore nero con vignette di animali, e un registro intermedio a fondo azzurro. Le decorazioni comprendono architetture in prospettiva, candelabri ed altri complessi elementi che si dispongono attorno alle nicchie, affiancate da figure femminili allegoriche: le raffigurazioni delle quattro stagioni, tema frequente nell’arte pompeiana, ed altre che sembrano invece legate al mondo dell’agricoltura e della pastorizia. In un piccolo ambiente è stata scoperta invece una situazione molto diversa: un letto e pochi mobili in legno, forse posizionati lì temporaneamente durante i lavori di ristrutturazione. La stanza durante le ore dell’eruzione era diventata il riparo di due persone, che purtroppo vi trovarono la morte, anche a causa delle pomici che si accumularono nel corso delle ore davanti alla porta, bloccando loro la via di fuga. Gli archeologi hanno infatti ritrovato gli scheletri di un uomo tra i quindici e i vent’anni, e una donna tra i trentacinque e i quarantacinque, la quale aveva portato con sé anche alcuni oggetti di valore. La scoperta più recente è però quella che forse colpisce di più, anche perché è avvenuta inaspettata, verso la fine del progetto di scavo. Si tratta di una megalografia (ovvero una rappresentazione a grandi dimensioni) in II stile, a tema dionisiaco, come quella che era stata trovata nella famosa Villa dei Misteri.

La zona dell’insula in cui si trova la megalografia non era stata finora scavata dagli archeologi, e anche per questo non se ne conosce con esattezza la struttura, ma si ipotizza che si trattasse del nucleo originario della casa “ad atrio”. Sono riemersi un peristilio con colonne munite di capitelli in tufo grigio, un salone “corinzio” con colonne, un triclinio: tutti ambienti legati alla possibilità di ricevere gli ospiti, che potevano poi usufruire anche delle terme. Nel salone corinzio un colonnato ad un solo ordine di colonne, che probabilmente sosteneva una trabeazione con un fregio dorico, rendeva l’ambiente particolarmente sontuoso. Le pareti dietro al colonnato ospitano un grande affresco, la megalografia appunto, datata al 40-30 a. C. circa. Raffigura un tiaso dionisiaco, da cui il nome “Casa del Tiaso” per questa domus. Tra le figure dipinte vediamo delle baccanti e dei satiri in varie posizioni, poggiati su un piedistallo come fossero statue: una baccante che forse teneva dei cembali, un satiro che suona il doppio flauto, una baccante furiosa con un capretto sgozzato in spalla, una baccante con una spada in una mano e le interiora di un animale nell’altra, un satiro con un corno e una coppa per il vino. Al centro una donna, che guarda verso l’osservatore, mentre un sileno le sta vicino con una torcia: è probabilmente una inizianda che si avvicina ai riti dionisiaci. Sopra al fregio principale vediamo invece una serie di animali, sia vivi che morti, alcuni anche già eviscerati. Il tema è quello della caccia, legata a Dioniso e ai suoi riti in quanto sfrenata e senza regole, diversa dalla caccia effettuata solo per necessità che era legata invece alla dea Artemide.

Questa recente scoperta permette quindi di avere un quadro più completo di come fosse strutturata l’insula e di farci un’idea di come poteva essere la vita quotidiana a Pompei poco prima che venisse sepolta dall’eruzione, tra banchetti, momenti conviviali alle terme, ma anche attività economiche e cantieri edili.
di Susanna Cavallin
Immagine in copertina: Megalografia, Casa del Tiaso, Regio IX – Parco Archeologico di Pompei
