Piccoli frammenti di mondo, piccole asole, aperture, scattate saltando da una sponda all’altra, nel tentativo di ricucire la ferita creata dalla modernità e mai rimarginata. Lavoro da anni in una zona industriale adiacente l’argine del Po, terre agricole per secoli. Il benessere è testimoniato da alcune residenze signorili; in ordine sparso troviamo qualche cascina malmessa: un tempo queste aree davano lavoro a molti braccianti e artigiani ma dal dopoguerra i braccianti furono sostituiti dai mezzi agricoli che divennero, via via, operai e lasciarono le loro terre per andare a vivere nei pressi delle fabbriche. Così questi luoghi persero parte della loro identità.
Stessa sorte capitò a tutti quei siti posti nell’adiacenza dell’argine, oramai territori depressi. Proprio a motivo della presenza del fiume, tali luoghi rimangono ai margini della nostra società, che li vive più come un ostacolo che come risorsa. Vengono così trasformati in zone industriali prive di identità, e la convivenza con l’agricoltura diventa sempre più complessa. Anno dopo anno le zone industriali erodono porzioni di terre agricole, i piccoli paesi rimangono in vita non più come cuore pulsante, ma si trasformano in aree dormitorio dei nuovi addetti attirati dal poco lavoro disponibile, sempre più slegati dal territorio e dalle tradizioni. Ciò che mi interessa sono le tracce di questa civiltà appena passata, luoghi non zone, insediamenti che sono stati costruiti con enorme fatica e abbandonati con enorme velocità. Se volgessimo il nostro sguardo indietro, scopriremmo che le civiltà che ci hanno preceduto costruivano i propri insediamenti più produttivi proprio nei pressi dell’argine fluviale poiché, oltre a rappresentare un mezzo di trasporto, il fiume rendeva più florida l’agricoltura e creava una barriera naturale contro i nemici. Un fiume amico e nemico. La forza di una esondazione poteva distruggere i raccolti e gli edifici ma, al contempo, portava la fertilità alle terre, donando abbondanti raccolti.
Testo e fotografie di Giorgio Bellocchi