Vai al contenuto

Contaminazioni cistercensi a Sant’Antioco di Bisarcio

Nel nord della Sardegna, sul ciglio di un basso sperone roccioso lungo la strada da Sassari per Olbia, si presenta all’orizzonte una chiesa romanica dalla storia affascinate e unica. È l’ultima imprevista meta, segnalata da altri pellegrini in visita a San Pietro di Sorres, nel viaggio di ritorno dopo un lungo peregrinare alla scoperta dei luoghi della memoria storica delle terre di quest’isola. Sant’Antioco di Bisarcio è l’antica cattedrale e chiesa priorale cistercense dell’agro di Ozieri. Ricostruita in stile romanico prima del 1090, utilizzando vulcanite locale, nel secolo XII si presenta in forme del tutto caratteristiche rispetto alle altre numerose e splendide realizzazioni del romanico della Sardegna. L’impianto a tre navate su colonne e pilastri, la copertura a capriata della navata principale e quelle a crociera delle navate laterali, l’abside, la partitura dei prospetti laterali e absidale, rappresentano una delle migliori manifestazioni dell’arte romanico-pisana presenti sull’isola. Tuttavia la facciata con la sua peculiare architettura su tre registri e la sua esuberante decorazione sorprende ponendosi al di fuori dei canoni dello stile romanico e rimandando la memoria ad atmosfere del nord Europa.

Illustrazioni di Cesare Castagnari

Tale sorprendente contaminazione è stata indagata a lungo da numerosi studiosi che hanno potuto ricostruire le interessanti vicende di questa chiesa anche grazie al ritrovamento di preziose e nascoste testimonianze grafite in situ e recentemente rinvenute dopo attente osservazioni. La vicenda storica di Sant’Antioco, che sorgerebbe sul luogo occupato precedentemente da una parrocchia dedicata al primo evangelizzatore dell’isola – il protomartire sulcitano patrono della Sardegna –, inizia verso la fine del secolo XII su iniziativa dei committenti Barisone II di Torres ed il figlio Costantino II. La seconda fase di costruzione viene terminata nel 1164 completa della facciata in stile romanico, ma già nel 1190 ha inizio una terza fase con la realizzazione della cosiddetta Galilea che ha termine nel 1195. È una modifica dell’originaria facciata alla quale viene giustapposto un portico, la Galilea appunto, sormontato da tre vani adibiti ad aula capitolare con un camino (questo curiosamente a forma di mitria), cappella vescovile e una terza stanza. Il nartece era necessario per proteggere dalle intemperie i fedeli che non potevano accedere alla cattedrale, che tuttavia era anche sede della diocesi. Il portico, che ha la funzione di aprire la via all’ingresso in chiesa dove i fedeli potranno incontrare la luce salvifica, rimanda alla regione della Galilea, il luogo confinante con la Giudea da dove proveniva il Cristo.

Questo contenuto è riservato agli abbonati

Copia Singola

Acquista una copia di «Globus».

Annuale Digitale

Abbonamento digitale di «Globus».

Cartaceo + Digitale

Abbonamento annuale di «Globus».

Sei già abbonato? ACCEDI

di Doina Ene – storica dell’arte