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Emilio Tadini, “il pittore che scrive e lo scrittore che dipinge”

Emilio Tadini (Fotografia di Maria Mulas, 1984)

Se c’è un artista del Novecento che può parlarci di noi, oggi, si chiama Emilio Tadini. Un artista poliedrico che non ha mai perso l’attenzione verso l’uomo. I disegni, le tele, i grandi trittici con le città e le fiabe di Tadini, ma anche i suoi lavori letterari, si presentano al nuovo millennio intrisi di linguaggi simbolici ed enigmatici. Alludono a tutte le domande esistenziali ancora aperte, rese ancora più urgenti in relazione alla crisi delle grandi ideologie e ai nuovi scenari di sviluppo economico, sociale e tecnologico. Con l’arte Tadini ha cercato di trovare delle risposte ai grandi temi dell’uomo e ha presagito, in qualche misura, l’era del totale stravolgimento di tempo, spazio e relazione con il mondo reale. Ha indagato questi temi esistenziali studiando i grandi pensatori e artisti del passato, ma ha anche posto l’attenzione verso un dialogo ininterrotto che aveva individuato tra il mito e la fiaba, trovando la grande forza dell’uomo di andare “oltre l’ostacolo”. Tadini diceva infatti che la più grande libertà dell’uomo è l’immaginazione e la esprimeva in diversi dipinti con l’anagramma Image-Magie. È così che un uomo con il naso da pagliaccio, una grande luna sul mondo, una donna che si sporge dalla finestra, un angelo, una serie di figure volanti sulle case, un aeroplanino e una palla , un uovo o un pianoforte diventano elementi compositivi delle sue tele capaci di offrire quella giusta leggerezza per permette all’uomo di sopportare la consapevolezza del nulla e il senso della fine.

Emilio Tadini, La camera da letto, 1993
Emilio Tadini, La camera da letto, 1993

La sua pittura, come la sua scrittura, pur intrisa di una visione quasi surreale o, se vogliano dirla alla Tadini, di “fiaba” (è così che intitola uno dei suoi ultimi cicli pittorici), non è tuttavia mai avulsa dal contesto storico, sociale e politico. Il suo lavoro suggerisce e stimola percorsi tra pittura, filosofia, spiritualità e gioco tali da suggerire quanto potente sia il fascino del caos perché con esso si conserva, per anagramma, il senso stesso della cosa a cui si giunge attraverso il caso, ed è in questo ciclo che in qualche modo è racchiusa l’origine del mondo. È come se ci volesse dire che ogni parola contiene in sé anche il senso del suo anagramma e, seguendo questa logica, troviamo l’eccezionale fascino racchiuso anche nel senso di Nowhere No-where ovvero “qui e adesso” e “in nessun posto” che rimanda ad alcuni concetti filosofici di Heidegger sulla condizione dell’uomo e il suo rapporto con la città, con la “sua casa” e con il tempo.

Emilo Tadini, serigrafia Fiera Milano 75, 1995

LA SUA STORIA. Tadini esordisce giovanissimo sulla scena artistica come poeta, col poemetto La passione secondo Matteo.  Il testo, che pone riflessioni sul rapporto con il sacro, venne pubblicato sulla rivista «Il Politecnico» di Elio Vittorini nel 1947 per aver vinto il premio Serra, selezionato da Eugenio Montale, Sergio Solmi e Carlo Muscetta. La sua laurea in lettere all’Università Cattolica del Sacro Cuore lo avvicina subito all’approfondimento e alla traduzione di autori importanti come Shakespeare, Pound, Eliot, Celine, Faulkner, Malevic, molti dei quali, all’epoca, ancora poco noti in Italia. Frequenta Vittorini, Solmi, Albe Steiner, intellettuali da cui trae ispirazione. Ma soprattutto, in quella Milano del dopoguerra, allaccia amicizie con Umberto Eco,  Dario Fo, Lucio Fontana, Valerio Adami,  Alik Cavalieri, Gianfranco Pardi, Mario Schifano, Lucio Del Pezzo, Grazia Varisco, Gianfranco Pardi, e tanti altri ancora, divenendo parte attiva di quel fervore culturale che caratterizza gli anni della rinascita e prosegue poi nella Milano da bere. Tadini ama anche il teatro e all’interno del “circolo Diogene” conosce e frequenta Grassi e Strehler. Si avvicina all’arte pittorica innanzitutto recensendo mostre e pubblicando su diverse riviste. Non smetterà più di coltivare pittura, poesia e scrittura (saggi, romanzi, testi teatrali). In ambito letterario ricordiamo, in particolare, il Campiello con il romanzo La lunga Notte.

Emilio Tadini, Profugo, 1987
Emilio Tadini, Profugo, 1987

Tadini è una figura singolare ed ecclettica del Novecento Italiano con un profondo legame alla sua città natale: Milano. È  in questo centro nevralgico della Penisola che ambienta i suoi romanzi, spesso storie paradossali di disperazione e ricerca di senso come La tempesta e La lunga notte. Qui acquisisce negli anni un ruolo di rilievo nel panorama culturale: la sua eccletticità e creatività lo rendono consigliere di riferimento anche per molti creativi del mondo del design e della moda (Armani, Krizia, Missoni, Cassina, Laura Meroni, Henry Glass). Dal 1997 al 2000 è presidente dell’Accademia di Brera. Il suo impegno culturale ed artistico, tra gli anni ‘80 e ‘90 varca i confini nazionali. Nei suoi anni più produttivi vive tra Milano, Parigi e la Valsesia, che diventa grazie a lui luogo di incontro di intellettuali, artisti e designer. Milano gli dedica una grande retrospettiva a Palazzo Reale nel 2001, ma nel momento culminante della sua carriera un male incurabile lo porta via all’età di 76 anni, il 24 settembre del 2002. Nel palazzo in cui abitava è stato aperta, nel 2006, una casa-museo a lui dedicata che ospita opere, archivio ed eventi.

Emilo Tadini, serie Color & Co, anni '70
Emilo Tadini, serie Color & Co, anni ’70

LA CRITICA.  I critici di letteratura e d’arte, nel tentativo di collocare l’opera di Tadini all’interno di una corrente artistica e letteraria, lo avvicinarono al “realismo integrale”, ovvero a un modo di fare arte che cercava di sovrapporre reale e irreale, tempo presente,

futuro e passato insieme, in pratica uno stile che portava a una sorta di condensazione onirica così come insegnava il Novecento che ha consolidato l’importanza della novella psicoanalisi. Questa dimensione è evidente in Tadini, ma è indubbio che l’artista ha maturato un suo linguaggio originale e inconfondibile. Egli  non è mai riuscito ad abbandonare la “visione dell’uomo”, ovvero la figura, contrariamente a quanto hanno fatto molti artisti suoi contemporanei e amici come Lucio Fontana i quali hanno scelto di esprimersi attraverso l’arte concettuale e astratta.

Per Tadini pensiero e corpo (come insegnava Artaud, di cui è stato traduttore) sono imprescindibili. Egli non poteva fare a meno né dell’uno né dell’altro tanto che persino gli oggetti dipinti, prima di essere trasferiti sulla tela, erano da lui ritratti sotto varie angolazioni anche con la macchina fotografica per “entrare nella dimensione dell’oggetto”, per “prendere le misure” per conoscere la sua relazione con il mondo.

Emilio Tadini, Fiaba, 1999
Emilio Tadini, Fiaba, 1999

LA PAROLA E L’IMMAGINE. Impossibile parlare di Tadini come pittore senza pensarlo come scrittore. La parola e l’immagine per Tadini dialogano in modo indissolubile tra loro. A spiegare questo nesso basta leggere il suo saggio La Distanza (Einaudi, 1998). Un libro di taglio psicoanalitico (Tadini era studioso in particolare di Freud e di Lacan). Egli vede nella distanza la condizione primaria in cui nasce l’individuo, ovvero vi si riconosce in quanto tale. Attraverso la distanza per Tadini si sigilla la relazione tra l’immagine e la parola. Nella distanza è possibile il percorso tra sé e l’altro e il dialogo, reso possibile dallo spazio, in cui si può muovere il suono. È chiaro dunque che immagine e parola siano, per Tadini, indissolubilmente correlate. Insieme li ritiene strumento della nostalgia ovvero espressione del bisogno di ritorno allo stato originario.

Emilio Tadini, Il ventilatore, 1972 Acrilico su tela
Emilio Tadini, Il ventilatore, 1972 Acrilico su tela

LE COSE E L’UOMO COME PROFUGO. Le cose, le relazioni con gli oggetti del nostro quotidiano che tanto erano entrate nel mondo dell’arte del ‘900 con la pop-art per esaltarne la riproducibilità, in Tadini tornano ad assolvere quel ruolo di relazione con il sacro, con lo spazio e il tempo come lo erano nella pittura antica. Le cose, per Tadini, sono la testimonianza della caducità della vita terrena come nelle Nature morte del ‘400 e parte integrante del racconto dell’uomo. La sua è una visione molto vicina alla filosofia di Martin Heidegger, di cui era profondo studioso, ma si ispira anche a Roland Barthes, Jill Delueze, Ludwig Wittgenstein, Spinoza. Immaginava l’uomo come un profugo, come un essere appartenente a nessun luogo, viaggiatore nel tempo e nello spazio insieme alle sue cose, intese come punti di riferimento importanti, articolazioni di geometrie essenziali ed esistenziali. Così scriveva nel 1984:

Ci sopravvivono le cose.  La materia di cui è fatto il nostro corpo è più vulnerabile,

più fragile, più effimera […]. Ogni sistema teologico si propone di risolvere il tragico,

di eliminarlo. Ogni sistema meccanicistico se lo ritrova di continuo tra i piedi.

Perché sembra incredibile? Che il tragico, alla fine, ci si riveli proprio nella scienza e coscienza della natura… come l’ombra, immancabilmente, va dietro al corpo”.

Emilio Tadini, serie Oltremare anni '90
Emilio Tadini, serie Oltremare anni ’90

LA LUCE E LE CANDELE. Per Emilio Tadini il comico arriva sempre dopo il tragico e solo la loro relazione rende possibile all’uomo l’accettazione del dolore e delle contraddizioni del mondo. All’uomo appartiene la luce incerta della candela ed è con la candela che andiamo a cercare il nostro senso. Nelle sue opere degli anni ‘70, in cui dominano il bianco e gli oggetti, sagome e simulacri, la luce è sempre quella delle lampadine. Solo nelle opere dagli anni ‘80 la candela nei quadri diventa predominante e quasi esclusiva. La luce è allegoria della razionalità quando è elettrica ovvero tecnologica, scientifica, e cerca di illuminare tutto, di comprendere il tutto, delineando perimetri e organizzando figure;  la fiamma è invece la luce di Prometeo, quella incerta dell’uomo, quella che si può spegnere con una folata di vento e con cui si ricerca il senso e la cosa, tanto quanto la relazione con l’altro e la scoperta del mondo. Ma la luce, per l’artista è anche ciò che dà nome alla cosa e allora è rappresentata nei suoi dipinti e nelle sue sculture dal fulmine.

Emilio Tadini, trittico Il ballo dei filosofi, anni '90
Emilio Tadini, trittico Il ballo dei filosofi, anni ’90

LE CASE E LE FIABE. Due dei suoi cicli pittorici più conosciuti sono Città italiane e Fiabe. In queste grandi tele le case sono edifici, costruzioni, edificazioni dell’uomo, simbolicamente però anche architetture del pensiero.  Nel ciclo Fiabe  sviluppa tutto il suo interesse verso la narrazione, il racconto dell’uomo e l’immaginazione come strumento di libertà del pensiero, di ricerca e di sostenibilità dell’essere.

di Melina Scalise – curatore dell’archivio Tadini, giornalista e psicologa

Vedi anche: Globusrivista.it/le-citta-letico-e-lo-spazio-una-mostra-per-ricordare-emilio-tadini-a-ventanni-dalla-morte/