Genio del barocco palermitano
Per molti è solamente un illustre sconosciuto e non viene perciò individuato per l’importanza che ha avuto nel panorama del barocco siciliano e palermitano in particolare. Eppure bisogna riconoscere a Giacomo Serpotta la sua giusta collocazione nel mondo dell’arte, e rendergli onore e merito in quanto genio che con le sue opere ha prodotto innovazione e creatività.
Ci troviamo nella seconda metà del XVII secolo e Giacomo, figlio d’arte, è uno dei rampolli di una radicata realtà familiare che enumera i principali scultori operanti a Palermo: gli scultori del Cassaro: “I Serpotta”. Sin dalla più tenera età prende le distanze dalla tradizione scultorea, sostenitore infatti del decorativismo vernacolare, in voga in quel momento storico: utilizza lo stucco come sostituto del marmo al fine di risparmiare tempo e denaro, trasformando così una tecnica tradizionalmente povera in un’arte raffinata, distinta ed estremamente elegante. Strabiliante è il risultato, tra le svariate cromie delle tarsie dei marmi mischi e tramischi del Barocco palermitano; quella che spicca più di ogni altra è il “bianco Serpotta” ricco di quel candore abbagliante che dà forma all’immortale bellezza dei suoi stucchi.
Le Virtù e le Allegorie
Quel delicato impasto di gesso e calce, rapidamente plasmato su un’armatura di legno e fili metallici, prima di lui utilizzato per motivi strettamente ornamentali e accessori, assurge con il Serpotta in materia prima, perseguendo lo scopo di creazione, completamento e talvolta teatralizzazione; sculture, bassorilievi e teatrini dalle mani dell’artista sembrano così prendere vita.
La difficoltà di questa tecnica, consistente nella veloce essiccazione dell’impasto che non lascia margini all’errore, la padronanza da parte dell’artista e la singolare innovazione apportata dall’allustratura, strato finale di grassello e polvere di marmo che diede luminosità e candore alle sue creazioni, lo hanno eletto quale “Magister Stuccator”.
Le sue donne: le “Virtù” e le “Allegorie” simboleggiano sicuramente la spiritualità ma con forme innegabilmente sensuali ed ancestrali.
I teatrini
I “teatrini”, veri e propri palcoscenici, offrono quinte naturalistiche o architettoniche entro le quali esili personaggi quasi a tutto tondo si muovono con estrema naturalezza e libertà.
I tenerissimi angioletti dalle sue mani prendono vita e – curiosi, dispettosi, spudorati e a volte voluttuosi – diventano i famosissimi “Puttini” che fluttuano nelle pareti interagendo con qualsiasi elemento essi incontrino: giocano sui cornicioni, si affacciano dagli archi, si sporgono da nicchie ed altari, osservano e commentano i teatrini diventando così protagonisti nella narrazione.
Gli oratori di Palermo
Anche nella firma Giacomo è indubbiamente originale, giocando col suo nome e aggiungendo una conchiglia (simbolo iconografico di San Giacomo) sugli abiti di un fanciullo nel gruppo dell’ospitalità nell’Oratorio di San Lorenzo; o con il suo cognome, inserendo la lucertola (sirpuzza) che si arrampica sulla colonna della Fortezza dell’oratorio in San Domenico.
Così, grazie al Serpotta, l’oratorio, da piccolo luogo di aggregazione e formazione destinato ad una ristretta comunità, assurge a protagonista della storia dell’arte europea. A Palermo ne troviamo cinque decorati dall’artista: quello di San Mercurio, quello dei Santi Pietro e Paolo, del Rosario in Santa Cita, del Rosario in San Domenico, e quello di San Lorenzo adiacente alla Chiesa di San Francesco all’interno della quale svettano imponenti le sue statue allegoriche.
Per oltre mezzo secolo la sua attività di stuccatore si espresse all’interno di numerose chiese ed oratori a Palermo e paesi della provincia come Monreale, Caccamo, Bisaccuino, Petralia Soprana, Castelbuono. Operò anche in altri capoluoghi dell’isola, Messina, Trapani ed Agrigento, affrancandosi sempre di più dalla tradizione scultorea per raggiungere una sua espressione particolare e suggestiva che qualche sottile gioco di contaminazione berniniana rende unica nel suo genere.
Giancarlo Manfrè e Catia Sardella