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“Sipario”, mostra personale di Roberta Cavallari

“Sipario” è la prima personale a Roma dell’artista ferrarese Roberta Cavallari. La mostra,  visitabile fino al 28 maggio, a cura di Vittorio Beltrami e Andrea Romagnoli, si tiene presso Curva Pura in un allestimento vivido e corposo: le nuove grandi tele dell’artista unitamente ad alcuni lavori di dimensioni più piccole, indagano il rapporto tra lo spazio, il vuoto, l’abitare e la metafisica dilatata di luoghi e non-luoghi.

La ricerca di Roberta Cavallari si evolve dal tema autobiografico, che ha caratterizzato gli anni accademici, per poi estendersi alla rappresentazione di spazi interni, stanze, arredi stantii. Il cono visivo della Cavallari si restringe su angoli interni, focalizzandosi sugli oggetti, quasi mai sul corpo, salvo laddove se ne scorgano tracce. Dell’essere umano restano citazioni, busti romani, suppellettili che, come metafisici feticci, si stagliano dentro cornici circoscritte. A volte si scorgono riferimenti ai mezzi di comunicazione, reperti obsoleti o scollegati, quasi ad auspicare una comunicazione che viene però interrotta. L’assenza e il vuoto che si respirano nelle immagini creano una dimensione surreale, dove il colore saturo si fa velluto, legno e mattone. Il linguaggio, solo in apparenza figurativo, si struttura attraverso solide campiture, raffigurazioni di arredi e oggetti che divengono totem silenti. I piani delineano polverose e crostose mani di colore, come pareti domestiche di fine novecento, o moquette variopinte, dipinte con attitudine certosina.

La vuotezza

testo critico di Vittorio Beltrami

Il senso di vuoto non è il vuoto. Il vuoto, per definizione, è una regione di spazio priva di materia; il senso di vuoto, che chiamo vuotezza, ne è l’aggettivazione, il farsi, l’atto stesso di questa privazione. C’è quindi una grande differenza tra vuoto e vuotezza, sostantivi che la lingua inglese rende addirittura con termini derivanti da radici diverse, void ed emptiness. Il vuoto, the void, è un elemento solido, ingombrante, presente; occupa uno spazio, lo spazio interno, privato di un pieno e reso agibile, abitabile, vivibile. Il vuoto è una dimensione che noi percepiamo come il fluido dentro il quale ci muoviamo: il vuoto è quindi il dove siamo, il riferimento cartesiano, l’xyz che ci ospita. Diverso è il senso di vuoto, che chiamo vuotezza, the emptiness. Questa è la dimensione in cui l’anima si inabissa, è in realtà un tempo più che uno spazio, una durata che pare talvolta interminabile, che non è dato sapere quando, e dove quindi, andrà a finire. Troppe volte ho vissuto la vuotezza per non riconoscerla nelle opere di Roberta Cavallari. Negli spazi interni, dove i pennelli si muovono a segnare prospettive deformanti, dove gli oggetti occupano luoghi in sospensione, talvolta alterandone la stessa realtà fisica, ebbene lì si avverte lo sfibramento dell’anima che scivola nel senso di vuoto.


Le opere di Roberta Cavallari rappresentano una dimostrazione per assurdo, l’ossimoro pittorico del concetto stesso di vuotezza. Come può, infatti, uno spazio pieno di oggetti rimandarci un senso di vuoto così profondo? Perché la Cavallari dipinge un’assenza, una presenza passata, un vissuto oblioso e lo fa attraverso le tracce di questo passaggio, testimonianze d’uso, gli arredi ed i complementi, ovvero gli oggetti pieni e solidi che in un tempo trascorso qualcuno aveva spostato per poggiarsi, sedersi, sdraiarsi. La Cavallari in realtà coglie proprio quell’azione compiuta e rimanda attraverso la staticità delle immagini ad una dimensione futura: attraverso l’attesa verso un qualcosa che accadrà. E lo fa giocando con i colori che, in modo ultra-metafisico, definiscono la materia senza possibilità di interpretazione, perché sia chiaro e inequivocabile che il legno, la stoffa, il vetro, l’ottone, sono pura sostanza. L’attesa diviene quindi il momento catartico in cui la vuotezza assume una connotazione nuova: essa è la dimensione della possibilità, l’annuncio di una rinascita, lo stato di estinta coscienza e di assoluta presenza… una presenza vuota che è la sostanza più potente che possediamo. Come scrisse Emil Cioran: “Quando si impara ad attingere nel Vuoto a piene mani non si paventa più il domani. La noia opera miracoli: trasforma la vacuità in sostanza, è essa stessa vuoto nutritivo”.

Roberta Cavallari, nata in provincia di Ferrara, studia pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove consegue il diploma nel 2001; si forma come docente di Disegno e Storia dell’arte presso l’Università di Bologna e nel 2009 frequenta il biennio di specializzazione in fotografia presso la medesima Accademia. Nel 2006 e 2007 realizza due mostre personali presso l’Istituto di cultura tedesca e francese di Bologna. Nel medesimo anno è finalista nella sezione pittura al Premio Celeste. Nel 2008 una sua opera entra nella collezione Samp, (Bologna). Partecipa alla Biennale di Venezia del 2011, a cura di Vittorio Sgarbi. Nel 2012 è in Argentina, dove realizza una mostra personale presso il Centro Cultural Borges, a cura di Massimo Scaringella. Nel 2013 partecipa ad un progetto collettivo presso la Galleria + di Bologna, a cura di Raffaele Quattrone e Cittadellarte, Biella. Nel 2016 è finalista al Premio Nocivelli e nel 2019 espone alla Galleria Studio 53 a Rovereto, a cura di R. Pizzini.

Roberta Cavallari nel suo studio