L’apprendistato presso Piero della Francesca
Luca d’Egidio di Ventura conosciuto come Luca Signorelli nacque a Cortona nel 1445 circa da Gilio di Luca di Ventura Signorelli e da Bartolommea di Domenico di Schiffo. Considerato tra i maggiori pittori del Rinascimento italiano, secondo il giudizio del Vasari era stato un pittore eccellente, “…fu ne’ suoi tenuto in Italia tanto famoso e l’opere sue in tanto pregio, quanto nessun’altro in qualsivoglia tempo sia stato già mai;…”.
Anche Giovanni Santi, padre di Raffaello, lo conobbe direttamente e lo lodò nella sua opera Cronaca rimata nella quale lo descrisse come un carattere eccentrico, ingegnoso ed inventivo “… de ingegno er sprito pelegrino”.
L’inizio del suo apprendistato avvenne presso Piero della Francesca, come ci racconta ancora Giorgio Vasari nelle Vite; e comparando lo stile pittorico di Signorelli tanto simile a quello di Piero afferma “…che pochissima differenza fra l’una e l’altra si conosceva…”. Signorelli però abbandona le figure monumentali del maestro e pone una maggiore attenzione all’anatomia del corpo umano nello spazio. È inoltre importante ricordare che Signorelli fu seguace anche del Pollaiolo e collaboratore del Perugino.
Da Firenze a Roma
Nel 1470 prese in sposa Gallizia di Piero Carnesecchi dalla quale ebbe quattro figli: Antonio, Felicia, Tomaso e Gabriella.
Teatro della sua attività artistica furono principalmente le città di Firenze, Arezzo, Urbino e Roma, nelle quali lavorò per committenze tanto laiche che ecclesiastiche, ma importantissime sue opere possono essere rinvenute in molte altre località anche minori come Orvieto, Monte Oliveto e Città di Castello, oltre che Cortona.
I primi lavori conosciuti dell’artista cortonese, oggi però scomparsi, risalgono al 1472 e furono realizzati per la chiesa di San Lorenzo ad Arezzo. La prima tavola riconosciuta dell’artista invece è lo Stendardo della Flagellazione di Brera, firmata “luce cortonensis”, che risale probabilmente al 1475. Ricorda la Flagellazione dipinta da Piero della Francesca ed oltre ad essere un omaggio al suo maestro scorgiamo in esso anche un richiamo alla cultura che si respirava alla corte di Federico di Montefeltro. Infatti, la figura di Pilato alluderebbe nella posa a quella degli effigiati degli Uomini illustri visibili nello studiolo del duca di Urbino.
Nel 1492 è a Roma, come collaboratore del Perugino per gli affreschi della Sistina; un’occasione importante non solo per entrare in contatto con gli artisti che vi lavoravano, ma anche perché questa frequentazione lo portò ad addolcire ed ingentilire il suo stile ancora acerbo. Tornando in Toscana, Signorelli fu accolto nell’ambiente culturale che ruotava intorno al grande umanista, mecenate e scrittore Lorenzo il Magnifico.
Le storie di San Bendetto e la Fine del mondo
Dopo la morte di Lorenzo, Signorelli lasciò Firenze per affrontare due grandi e memorabili cicli di affreschi: le Storie di San Benedetto nell’abbazia di Monte Oliveto (1496-1498) e la Fine del mondo con il Giudizio universale nella cappella di San Brizio a Orvieto (1499-1502). Nel 1497 l’artista iniziò a dipingere il ciclo di affreschi nel chiostro dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore presso Asciano. Il lavoro gli fu commissionato da Airoldi, abate degli Olivetani; il programma prevedeva le Storie della vita ed i fatti della Vita di San Benedetto, ma completò solo il lato occidentale del chiostro. L’opera fu in seguito portata a termine da parte del piemontese Giovanni Antonio Bazzi meglio conosciuto come il Sodoma nel 1505.
In questo periodo aprì anche la sua bottega, che era seconda solo a quella di Perugino, dimostrando di essere diventato un abile imprenditore.
Il ciclo di affreschi nella Cattedrale di Orvieto
La più celebre e importante opera commissionata all’artista toscano resta senza dubbio quella della piena maturità, realizzata per la Cappella Nova detta anche di San Brizio nella Cattedrale di Orvieto: il Giudizio Universale. Per eseguirla abbandonò l’incarico dell’abbazia di Monte Oliveto a favore della nuova commissione ricevuta dalle maestranze del Duomo a Orvieto. Il ciclo di affreschi nella Cappella Nova era iniziato nel 1447 da Beato Angelico, il quale dipinse soltanto due vele; il lavoro fu quindi proseguito dal suo allievo Benozzo Gozzoli e a sua volta interrotto. Signorelli firmò il contratto con la fabbrica del Duomo nel 1499 e vinse la gara contro il Perugino perché il prezzo da lui proposto era inferiore rispetto a quello richiesto da quest’ultimo. Signorelli inoltre era apprezzato sia per la sua fama sia per la rapidità con la quale concludeva gli incarichi; il lavoro fu ultimato nel 1502. Il contratto prevedeva la realizzazione del Giudizio Universale, che solitamente fino ad allora era sempre stato rappresentato in forma unitaria. Ma Signorelli, in San Brizio, decise di suddividerlo in diverse scene indipendenti: Storie dell’Anticristo, il Finimondo, la Resurrezione della carne, i Dannati, gli Eletti, il Paradiso e l’Inferno. L’artista mise in campo la sua capacità creativa, innovativa, teatrale, una forte potenza inventiva, a tratti bizzarra e capricciosa.
Ribelle all’iconografia tradizionale
In questa impresa si dimostrò un grande illustratore; le scene presentano una forte carica emotiva, la presenza di allusioni carnali o goliardiche, come la rappresentazione dell’autoritratto in forma di demone che stringe tra le braccia una formosa ragazza, forse una sua frequentazione. Molto nota poi è la presenza di un secondo autoritratto dell’artista a figura intera. Signorelli si rivela ribelle all’iconografia tradizionale creando così nuove rappresentazioni sacre. Inoltre introduce in questo ciclo pittorico la novità di illustrare la potenza degli ignudi dando loro movimento e vita. Vasari ci dice che Michelangelo trasse ispirazione proprio dal Signorelli per il suo Giudizio della Sistina “…nelle quali esso Michelangelo imitò l’andar di Luca.”
Una pittura più viva che mai
Un’altra opera che ispirò Michelangelo fu il tondo con la Sacra famiglia di Parte Guelfa conservato agli Uffizi, uno dei miglior tondi realizzati da Signorelli. Anche in questo caso il Buonarroti fu incuriosito e suggestionato da questo dipinto dove le figure sembrano scolpite ed emanano una forte energia; da esso trasse quindi ispirazione per il celebre Tondo Doni realizzato nel 1503-1504. L’uso di tavole di forma rotonda fu introdotto proprio per iniziativa del maestro cortonese, il quale lo ripropose più volte; molti altri artisti presero successivamente in prestito questo particolare formato, tra i quali Raffaello.
Grazie a queste opere che Luca Signorelli ha dipinto più di cinque secoli fa, ancora oggi possiamo ammirare la forza dei suoi corpi possenti e dei nudi anatomicamente studiati. La sua pittura è più viva che mai. Morì nel 1523 a Cortona.
Doina Ene – storica dell’arte