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Viaggio a Gilf Kebir

Tra dune, rocce coloratissime, siti neolitici e pitture rupestri

Seguendo  l’unica strada esistente proveniente dal Cairo, verso sud-ovest, raggiungiamo la grande oasi di Dakhla. Ci sono parecchi villaggi. C’è la “città” e la “città vecchia” ormai completamente disabitata. Qui, gironzolando dentro le sue stradine, abbiamo incontrato solo una donna con un ragazzino: erano appena usciti dalla loro piccola dimora per fare asciugare i panni. Appena fuori dalla vecchia “città” vediamo due donne, madre e figlia, bellissime, intente a vendere ceste di paglia intrecciata, vasi in cotto, oggetti di legno. Alla periferia dell’ultimo villaggio, ormai in piena sabbia, avvistiamo una bancarella per la vendita di frutta secca, di tantissime varietà, alcune a noi sconosciute. Abbiamo fatto una bella scorta di frutta secca da sgranocchiare durante le lunghe attraversate in jeep. Dall’oasi di Dakhla, dopo un tratto verso sud, ci spostiamo verso sud-ovest in direzione Abu Ballas, un antico deposito di acqua. Una lunga attraversata su un fondo di sabbia coloratissima e rocce nere. In questo sito, oltre quattromila anni fa, sono state disposte sotto la sabbia più di trecento giare piene d’acqua ad uso delle carovane che percorrevano quella pista. Periodicamente le giare vuote venivano sostituite con altrettante piene. Al giorno d’oggi di quelle trecento grandi giare sono rimasti solo dei cocci, abbandonati in superficie e continuamente ripuliti dal vento. Da qui la pista prosegue nella depressione, sempre verso sud-ovest, tra i “leoni di fango”. Si tratta di strane e curiose formazioni d’argilla sabbiosa che emergono da un fondo piatto. Rocce nere, sabbia, argilla. Sono il risultato dell’erosione costante del vento unidirezionale Khamasin e delle sue micidiali  tempeste di sabbia.

matite in viaggio

La “Grande Barriera”

Ora si comincia a correre direttamente sulla sabbia, senza tracce di piste. La pressione sulle ruote delle jeep viene ridotta e così le gomme si deformano di più e la superficie di contatto con la sabbia si allarga, favorendo il procedere soprattutto nelle salite sui fianchi delle dune. Si segue lentamente la base della falesia lunga quasi 200 chilometri, alla ricerca del passo El Aqaba, unico punto di possibile attraversamento per entrare nel Gilf Kebir: la Grande Barriera. Due giorni di tentativi con salite e discese da infarto lungo i ripidi fianchi di dune di sabbia altissime.

Una leggenda narra che nell’oasi di Zarzura , all’interno del Gilf Kebir,  esisteva una comunità “felice” e in pace. Nelle pitture e incisioni rupestri preistoriche che si possono vedere in questa “Grande Barriera”, ci sono raffigurati ragazzini che si tuffano in acqua per nuotare, tanta  gente che balla, palme di mani di buon augurio. Non ci sono pitture né incisioni che raffigurino scena di caccia, di guerre, di armi. Secondo questa leggenda, ogni qualvolta arrivasse un viandante, una grande aquila gli andava incontro e se ne intuiva le buone intenzioni questi veniva accolto con grande onore; in caso contrario, veniva cacciato via.

Oltre alle pitture rupestri un segno dell’esistenza di questa comunità è dato dalla presenza di tanti alberi di acacia, tutti ancora vivi. Vivono sfruttando l’umidità della notte e la pioggia di pochi millimetri all’anno. Un nostro compagno di viaggio, esperto in materia, ci dice che trattasi di acacie di almeno duemila anni fa.

siti rupestri egitto

Silica glass desert

Quando, viaggiando, si lascia che la “fiaba” si infiltri tra i ricordi, le conoscenze, il mondo che vediamo, allora la curiosità si mescola all’immaginazione. I suoni diventano anche colori e viceversa, gli oggetti prendono vita e noi stessi cominciamo a giocare. È sul filo di queste emozioni, sottili e poco rumorose, che mi piace soffermarmi e disegnare sul mio libretto.

Dopo aver abbandonato la “Grande Barriera”, ci siamo diretti verso nord-nordest  inoltrandoci dentro al “Silica glass desert” che si protrae per circa 200 chilometri: si trovano ancora moltissimi pezzi di questo “vetro di silice”, alcuni anche piuttosto grossi fino a raggiungere i 20-30 chili. Si tratta di un minerale costituito per il 98% da biossido di silicio e per il 2% da ossidi di ferro: alluminio, titanio, iridio. Quest’ultimo elemento è rarissimo sul nostro pianeta, ma ben presente nelle comete, nelle meteoriti, negli asteroidi. Il “silicaglass” è un minerale di un colore neutro o appena verdolino, un po’ trasparente, durissimo e praticamente non lavorabile; eppure su una collana di un faraone mummificato presente al museo del Cairo è appeso uno scarabeo in grandezza naturale, perfettamente inciso e sagomato, fatto con questo biossido di silicio.

deserto

L’armata perduta

Il nostro viaggio continua verso  il “western desert”: circa 800 chilometri verso nord fino all’oasi di Siwa, un’unica enorme catena di dune alte anche 150 metri. Secondo lo storico Erodoto, nel 524 a.C. un’armata di 50.000 soldati romani dell’imperatore persiano Cambise, diretta verso l’oasi di Siwa, scomparve e non se ne trovò mai più alcuna traccia. Probabilmente morti di sete e sepolti da qualche tempesta di sabbia.

Raggiungiamo Sahra El Beyda, il deserto bianco. È una distesa di pilastri calcarei e monoliti di gesso scolpiti dal vento con conformazioni a “fungo”, alti anche più di una decina di metri. La conformazione particolare è dovuta all’erosione provocata dalla sabbia portata dal vento. Infatti la sabbia che erode maggiormente è quella più grossa che il vento solleva meno; mentre la sabbia più sottile viene portata più in alto dal vento. Dunque, l’erosione diminuisce mano a mano che ci si alza dal suolo.

disegnatori in viaggio

La Valle delle Balene

A circa 200 chilometri a sud-ovest del Cairo troviamo Wadi an-Hitan, Valle delle Balene, una grandissima distesa piatta di sabbia che ospita in superficie decine di scheletri dei progenitori delle balene. L’esemplare più grande è lungo 21 metri ed è un cetaceo carnivoro con denti seghettati, arti posteriori provvisti di dita e corpo affusolato come le attuali balene.

Quando, finite le piste, arriviamo al posto di controllo, ci sorprende rivedere il color verde dell’erba, delle foglie, delle piante. Un colore che da tanti giorni non vedavamo più.

Il Gilf Kebir, la “Grande Barriera”, è stata definita da Walter Bonatti come uno dei luoghi selvaggi più belli che lui abbia mai visto. E anche noi. Scenari con rocce coloratissime, nere, rosse, ocra; con dune di sabbia dai colori intensi e variabilissimi, dal bianco dell’alba al rosso intenso del tramonto, difficilmente immaginabili. Affascinantissimi, da fiaba.

La valle delle balene

Testo e disegni di Giovanni Cocco – Matite in Viaggio