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Il relitto della motonave Viminale, il “Titanic italiano”

Correre incontro ai propri sogni è ciò a cui tutti vorrebbero tendere. Sfiorarli è un successo che alcune persone hanno il privilegio di raggiungere. Raccoglierli a piene mani è un dono per pochi. Il vento della vita soffia spesso in modo incostante e in molteplici direzioni. Capire quale sia la giusta via da seguire richiede uno sforzo analitico importante.

Lasciarsi alle spalle un relitto è una pratica che richiede coraggio. Voltarsi e decidere che quella sarà l’ultima volta che lo si vede, che si sta con e dentro di lui, è una scelta forte. È un po’ come starsene sulla soglia di casa a salutare chi riparte dopo essere venuto da lontano. Dare un addio implica la fine e impone l’inizio della distanza che sposta quella relazione nel ricordo.

 

La prima volta che sono sceso sulla motonave Viminale – silurata il 25 luglio 1943 al largo della costa di Palmi, nel Tirreno calabrese, dall’unità statunitense Pt 216 – ho capito che non sarebbe mai stato un addio. L’abbraccio che mi ha avvolto tra le sue delicate lamiere, la prima volta, il suo tatto e quella voce fatta di lunghi corteggiamenti a distanza mi hanno così affascinato che non ho potuto smettere di pensare a lei, a quella fascinosa ed elegante nave. Un transatlantico, per forma, dimensione, storia e portata ha un carattere unico. Il primo incontro non lo scordi mai: in pochi istanti ti ha già trasmesso il carattere di cui è capace. Il tuo sguardo di imberbe osservatore degli abissi non vuole più fermarsi alla superficie. In ogni cosa c’è una frattura, una crepa che permette lo slancio verso l’interno, il luogo in cui delicati mondi si aprono o si chiudono. Dopo un impatto simile non puoi più dire “addio”. Ricordo le prime e consecutive immersioni, più di un anno fa, dopo aver a lungo aspettato l’incontro. Penelope ingannava il tempo nell’attesa di Ulisse, il marinaio annega il tempo tra un porto e l’altro mentre il soldato imbarcato fuma tizzoni di sigaretta avvinghiato nella sua coffa, di guardia.

 

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Testo di Andrea Murdock Alpini – Esploratore, PHY Diving Equipment   wreckdiving.it/andrea-murdock-alpini/

Disegni di Emanuela Rossato

Emanuela Rossato vive in provincia di Varese. Da sempre ha mostrato grande interesse per il disegno e i colori e grazie alla sua naturale inclinazione artistica, nel tempo, ha sperimentato in autonomia e fatto sue diverse tecniche legate al disegno, alla decorazione, alla pittura nonché all’utilizzo di materiali di riciclo quali carta e sughero per la creazione di gioielli unici e originali.

Andrea Murdock Alpini e Emanuela Rossato

Andrea Murdock Alpini e Emanuela Rossato

Classe 1985, si immerge dal 1997 in circuito aperto, in acque marine e lacustri prediligendo i relitti, storici o moderni. Subacqueo e istruttore tecnico TDI, SDI, CMAS, PTA. Collabora con le testate Scubaportal, Relitti in Liguria, NauticaReport, Sub Underwater Magazine, Scuba Zone e Ocean4Future. Tiene conferenze e seminari inerenti immersioni su relitti e subacquea tecnica. Organizza immersioni in luoghi insoliti e spedizioni subacquee su relitti. Documenta le proprie immersioni con video, immagini e report. È membro inoltre dell’Historical Diving Society Italy. Collabora col Master in Medicina subacquea e iperbarica di Padova. È membro della Undersea & Hyperbaric medical society in USA e della Società Italiana Medicina Subacquea e Iperbarica, del Museo del Mare di Tortona e del Club Palombari dell’Artiglio di Viareggio. Ha pubblicato diversi libri: Immersioni selvagge; Deep Blue. Storie di relitti e luoghi sommersi; Andrea Doria, un lembro di patria. Quest’ultimo libro è una raccolta di storie inedite della turbonave italiana affondata sui Banchi di Nantucket; il volume raccoglie testimonianze, documenti segreti, immagini storiche e le ricognizioni subacquee effettuate sul relitto.View Author posts