Vai al contenuto

Guatemala, il segreto della vita eterna

Tempo di lettura: 7 Minuti

È capitato a tutti di chiedersi: “Ma cosa ci sarà dopo la morte? Perché da secoli l’uomo ha il desiderio di raggiungere l’immortalità?”. Il concetto di morte ci fa paura, genera angoscia, ci spinge a escogitare sistemi per sfuggirne alla minaccia. Ci aggreghiamo e sviluppiamo rituali stereotipati per affrontare la tristezza che genera la perdita di una persona cara. A volte cerchiamo rifugio in meccanismi di negazione e rimozione che trasformano un addio in una vera e propria interdizione sacrale. E poi, in netta contrapposizione con la nostra cultura, ve ne sono altre dove la morte viene addirittura celebrata. Era quello che avrei scoperto nel mio viaggio in Guatemala, tentato proprio dal voler infrangere questo tabù occidentale.

Arco di Santa Caterina – Antigua

Arrivai ad Antigua in nottata. Il fascino dell’ex capitale si rivelò solo all’alba del mattino seguente, quando le prime luci del giorno mostrarono l’incantevole bellezza di una città apparentemente cristallizzata nel passato. Mi inoltrai per le stradine acciottolate tra piccole abitazioni dai mille colori pastello. Numerosi negozietti con le insegne dipinte a mano iniziavano ad aprire e il profumo proveniente dalle cucine inebriò il mio andare. Passai sotto il giallo senape dell’arco di Santa Caterina osservando un’anziana donna intenta ad allestire la sua bancarella di pietre e tessuti. Le caratteristiche vie di Antigua si intrecciano in un ordine rinascimentale attraversando piazze adornate di fiori sgargianti. All’orizzonte, tanto maestoso quanto inquietante, l’imponente vulcano de Agua avvolto dalla nebbia. La sua bellezza si apprezza ancor di più salendo sopra il Cerro de la Cruz: tutta Antigua sembra china ai suoi piedi. In questo viaggio, addirittura, salii sulla cima di un vulcano, uno dei più attivi del Guatemala: il vulcano Pacaya. Mi accolse uno dei panorami naturali più incredibili che io abbia mai visto. Sembrava di solcare un mare nero, il terreno era avvolto su se stesso come onde immortalate in una fotografia. Dalla sommità colavano lentamente lingue rosse infuocate. Si riusciva a percepire il calore della terra proveniente dal profondo e, in una piccola buca, riuscii persino a scaldare dei marshmallow.

Cerro de la Cruz

Il viaggio proseguì in direzione ovest. Mi imbattei in un antico villaggio Maya, Iximche. Fu la capitale dei Maya Kaqchikel e, nonostante il sito sia meno famoso del più celebre Tikal, contiene numerose rovine, tra cui le caratteristiche piramidi Maya, resti di alcune abitazioni e un incredibile campo dove veniva praticato l’antico gioco della pelota, un passatempo legato al culto del sole. Quei luoghi emanavano un’energia davvero potente. Potevo avvertire antichi riti sciamanici, respirare la sacralità di quelle cerimonie che lodavano Madre Terra, sentirmi parte di quello spirito che unisce l’uomo alla sua condizione originaria di essere animale per celebrare ed onorare la natura. Poco oltre un boschetto scorsi alcuni sacerdoti intenti a bruciare il copal, inebriando l’aria circostante di un profumo chiaro e legnoso. L’antica cultura Maya è ancora viva!

Iximché – Sito archeologico Maya

Questo contenuto è riservato agli abbonati

Copia Singola

Acquista una copia di «Globus».

Annuale Digitale

Abbonamento digitale di «Globus».

Cartaceo + Digitale

Abbonamento annuale di «Globus».

Sei già abbonato? ACCEDI

di David De Giorgio, esploratore – Fotografie di Max Giubilei