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L’altro Rinascimento di Bosch

Da alcuni anni ho indirizzato una parte dei miei studi verso l’esplorazione e la valorizzazione di letture che propongono una visione diversa, non convenzionale, della storia dell’arte. Mi sono cimentato su questa strada, per esempio, nel caso della mostra di cinque anni fa su Dürer e il Rinascimento, in cui si esponeva un modello interpretativo di Rinascimento parzialmente diverso da quello “burckardtiano” che, come ben si sa, era indirizzato a proporlo in termini di ri-scoperta dell’antico e di centralità dell’individuo, localizzandone l’epicentro nell’Italia centrale. In quell’occasione si poté osservare come, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, la situazione artistica fosse, in realtà, più complessa, ibrida e sfaccettata dal momento che, accanto e dentro lo stesso classicismo aulico ed egemonico, camminavano tendenze “altre” che privilegiavano temi alternativi qualificabili come bizzarri, eccentrici, comici.

Jheronimus Bosch, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio – particolare, 1500 circa, olio su tavola – Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga   © DGPC/Luísa Oliveira
Jheronimus Bosch, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio – particolare, 1500 circa, olio su tavola – Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga   © DGPC/Luísa Oliveira

Nello stesso tempo, individuavamo come queste “devianze”, rispetto al consolidato e tradizionale modello classicista, non dovevano essere giudicate in termini di contrapposizione – basti pensare che anche Leonardo, modello di classicismo, era classico e anticlassico per via, ad esempio, delle caricature e delle grottesche – ma in termini additivi, per ricostruire una lettura del Rinascimento artistico più policentrica, dinamica, aperta e poliedrica.

Bottega di Jheronimus Bosch, Il giardino delle delizie, 1500 circa, olio su tela – Collezione privata

La stessa considerazione può essere parallelamente enucleata nell’ambito della letteratura dove accanto alla prevalente codificazione classicista espressa da Bembo si svilupparono forme di scrittura che privilegiarono il grottesco, il comico-realistico, il caricaturale, l’espressionismo; una tendenza attiva non solo in Italia, che trovò in Teofilo Folengo (1491-1544) il suo massimo rappresentante – si pensi a quel capolavoro della poesia maccheronica che è il Baldus –, ma anche, ad esempio, in Francia con l’umanista Francois Rabelais (1483-1553), autore di due romanzi come il Pantagurel e il Gargantua che hanno rallegrato la giovinezza di tanti. Che non si trattasse di tendenze semplicemente alternative era dimostrato dal fatto che esse trovassero accoglienza, comunque, nel contesto della cultura ufficiale delle classi alte, le quali erano, a tutta evidenza, interessate tanto alle opere classiche quanto a quelle più “eccentriche”: all’Escorial di Filippo II, ad esempio, convivevano perfettamente Tiziano e Bosch. Una visione, questa, già affermata da Eugenio Battisti (1924- 1989) che in un libro uscito nel 1962, piuttosto avversato da una parte della critica, parlava apertamente di Anti-rinascimento.

Copia da Jheronimus Bosch, Scena con elefante, XVI secolo, olio su tela – Firenze, Gallerie degli Uffizi   © Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi

Accanto al Rinascimento paradigmatico, di Raffaello e di Michelangelo, nel ‘500 emergono a livello europeo altre declinazioni divergenti rispetto ai paradigmi italiani fondati sui valori di prospettiva di armonia, di regolarità geometrica, di proporzionalità, di bellezza idealizzata. Soprattutto il mondo nordico pullula di alternative eccentriche ed irregolari: dalle figure allungate di Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553), ai paesaggi fantastici di Albrecht Altdorfer (1480 ca.-1538), alla religiosità visionaria di Matthias Grunewald (1480-1528). Tra questi ultimi, giganteggia la figura di Hieronymus Bosch, un artista che a dispetto di una produzione pittorica, a noi nota, stimabile in poco più di una ventina di opere, continua ad avere un’influenza straordinaria anche oggi; non è un caso, ad esempio, se nel Primo manifesto surrealista Breton riconobbe nel Maestro fiammingo “il padre fondatore del Surrealismo” e che un artista come Keith Haring ne fosse completamente affascinato.

Jheronimus Bosch, Trittico dei Santi Eremiti, 1495-1505 circa, olio su tavola – Venezia, Gallerie dell’Accademia  ©Archivio ftografico Gallerie dell’Accademia di Venezia

Quartogenito di cinque figli, nato intorno al 1450 (secondo molti nel 1453) a ‘s-Hertogenbosch, una località del nord del Ducato di Brabante posta vicino a Utrecht, da cui poi prese il nome (il suo cognome era Van Aken),  Bosch non ha lasciato lettere o diari della sua vita, e della sua formazione sappiamo molto poco. Probabilmente non si spostò mai dalla sua città natale, si sposò nel 1480 con Aleyt Goyaerts van der Meervenne, maggiore di lui di un paio di anni, proveniente da una rispettata e benestante famiglia e dalla quale non ebbe figli e seguì la vocazione artistica già presente in alcuni membri della sua famiglia, la cui fama fu solo locale.

Jheronimus Bosch, Le tentazioni di sant’Antonio, 1500-1525 circa, olio su tavola – Madrid, Museo Nacional del Prado
© Archivio fotografico, Museo Nacional del Prado, Madrid

Ritorniamo alla lezione del linguaggio figurativo di Bosch, in cui vediamo visioni immaginarie, inquietanti e spiazzanti, evocazioni fantastiche in cui copiose creature irreali proliferano in maniera caleidoscopica, disposte sulla superficie pittorica senza logica prospettica o rigore spaziale, producendo una sorta di horror vacui, di cui sono testimonianze le meravigliose Wunderkammer, proto-musei in cui venivano collocati, in maniera solo apparentemente disordinata, infiniti e meravigliosi oggetti, naturalia, artificialia, scientifica ed exotica. Ne emerge una visione che è agli antipodi della nostra arte rinascimentale, costituita da figure orgogliose del proprio status, ritratte con chiarezza espressiva e che trovano una precisa collocazione nello spazio. In Bosch abbiamo il caos popolato da piccole figure brulicanti come insetti, ibridi uomini-insetti, riti oscuri, incendi, stregozzi, simboli, mostri, incubi e sogni. Le proporzioni tra i vari elementi saltano, si capovolge il rapporto tra grande e piccolo, i torturatori diventano torturati, come in un contrappasso dantesco. Sembra di assistere alla rappresentazione di un mundus inversus, un mondo alla rovescia, ben descritto dall’indispensabile omonimo studio dell’etnologo allievo di Malinowski, Giuseppe Cocchiara, pubblicato, guarda caso, nel 1963, un anno dopo il fondamentale libro di Eugenio Battisti che abbiamo sopra citato,dove il povero fa l’elemosina al ricco, i pesci volano, e la pecora tosa il pastore. L’immenso repertorio immaginifico bosciano, tratto dalla simbologia dell’iconografia medioevale, dal folclore, dall’alchimia e dalla cultura popolare, suscita insieme repulsione, paura, curiosità e fascinazione.

Bottega di Jheronimus Bosch, La visione di Tondalo, 1490-1525 circa, olio su tavola – Madrid, Museo LázaroGaldiano
© Museo LázaroGaldiano, Madrid

In Bosch, ogni cosa è perfettamente leggibile, nitida se singolarmente presa, ma non appena si allarga lo sguardo, tutto appare misterioso, indecifrabile a tal punto che si potrebbe anche pensare alle pitture di Bosch come a dei veri e propri rebus. Con lui varchiamo le porte di un Rinascimento alternativo, irrazionale, visionario per avventurarci nelle incerte e inquietanti terre del brutto, del deforme, dell’osceno, del perturbante, del paradossale. Il singolare linguaggio figurativo di Bosch si diffuse presto e rapidamente in tutta Europa, generando infinite copie e repliche non solo nel campo della pittura ma anche in quelli della scultura, dell’editoria, delle incisioni e degli arazzi.  Molti furono gli oggetti stravaganti “alla Bosch” prodotti poi nelle arti decorative: tazze, boccali, elmi, calici, caraffe, ampolle, scudi, calamai.

Jheronimus Bosch, Giudizio finale, 1486 circa, olio su tavola – Bruges, Musea Brugge, Groeningemuseum

L’opera di Bosch, proprio per la sua carica innovativa e inaudita, si è prestata a molteplici decifrazioni. C’è chi la interpreta come un segno precursore della riforma protestante che, da lì a poco, avrebbe sconvolto l’Europa; chi come il frutto pericoloso di un eretico della setta dei catari che immaginava la terra sub specie dell’inferno, posta sotto il dominio di Satana; chi come figlia di un adepto della setta degli adamiti che aspirava alla purezza edenica, un ritorno all’originaria innocenza di Adamo. C’è un’altra interpretazione, meno affascinante, forse, ma non per questo meno plausibile: che la pittura di Bosch venga letta in termini “moralistici”, come un ammonimento agli uomini di condurre una vita virtuosa facendogli vedere l’inferno che li avrebbe attesi se avessero continuato a vivere nel peccato, nella lussuria, nell’avidità. Un gesuita spagnolo del ‘600 disse a proposito di Bosch che mentre altri cercano di dipingere gli uomini come appaiono al di fuori, Bosch ha il coraggio di dipingerli come sono dentro. In questo ambito mi sovviene un parallelismo con un altro grande genio della pittura europea come Francisco Goya: mentre Bosch ha portato l’uomo nell’inferno, Goya ha portato l’inferno nell’uomo.

Manifattura di Bruxelles (da Jheronimus Bosch), Il carro di fieno (Tribolazioni della vita umana), 1550-1570 circa, arazzo – Madrid, Palazzo Reale   © Patrimonio Nacional

di Domenico Piraina- direttore Palazzo Reale di Milano

Immagine in copertina: Jheronimus Bosch, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio, 1500 circa, olio su tavola, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga  © DGPC/Luísa Oliveira

Autore

  • Laureato in materie letterarie all’Università Cattolica di Milano e in Scienze dell’Amministrazione all’Università degli Studi di Milano, completa la sua formazione accademica con Master di II livello in Management Pubblico presso il Politecnico di Milano. La formazione storico-artistica-letteraria unita agli studi giuridico-economici gli consentono di intraprendere una significativa carriera nella direzione dei musei diventando uno dei manager culturali e dei museologi più noti in Italia e con...

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