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Il cane pastorale abruzzese

L’Abruzzo è da tempi remoti una regione legata a doppio filo alla pastorizia. Lo racconta un territorio plasmato da queste attività in cui una natura spesso ancora selvaggia si integra con antichi tratturi, con i ruderi di stazzi realizzati con pietre a secco, con capanne a tholos disseminate per le montagne; ma lo raccontano anche una cultura e un sentimento popolare ancora strettamente connessi al mondo dell’allevamento, in particolare degli ovini. E sono parte integrante di questo territorio e della sua cultura anche due grandi predatori: il lupo appenninico, che nonostante le persecuzioni qui non è mai scomparso, a differenza di quanto invece è accaduto sulla stragrande maggioranza del territorio italiano prima che intervenissero le leggi a tutelarlo, e l’orso marsicano, un rarissimo endemismo con una popolazione stimata in 50-60 esemplari, oramai presente pressoché solo in Abruzzo e in particolare nell’areale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

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Rifugio della Fiumata, Monti della Laga – Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga

A questi predatori si deve la nascita, antica quanto la tradizione pastorale regionale, di quello che è probabilmente il simbolo più rappresentativo dell’Abruzzo rurale ma non solo: il suo cane da protezione degli armenti, il Pastore Abruzzese. È il lupo che fa il cane si usa dire tra i pastori, volendo così intendere che sarà lo scontro col predatore a stabilire se un pastore abruzzese è capace di difendere il suo gregge e quindi di sopravvivere e trasmettere le sue capacità alla sua progenie. Un’affermazione che racconta, con la schietta efficacia del mondo rurale, l’importanza di questo baluardo bianco a difesa di quella che era l’attività principe della regione, ma pure la sua stretta connessione ed il suo equilibrio con l’ambiente naturale.

Maschio adulto con vrecale al pascolo autunnale sui monti di Bagno (AQ)
Maschio adulto con vreccale al pascolo autunnale sui monti di Bagno, frazione della città dell’Aquila

Nella ruvidità di questa rappresentazione gergale è in realtà narrato il rispetto che le genti che hanno selezionato il pastore abruzzese attribuivano e attribuiscono al predatore col quale si confrontano da sempre e quanto ne temano la forza e la scaltrezza. Al contempo, la difesa del loro gregge è posta proprio nelle abilità di questo prodigioso cane “di grande taglia, occhi scuri o grigio-giallastri, labbra e narici scure, il labbro superiore deve coprire i denti senza essere troppo abbondante, testa grande, orecchie pendenti, spalla forte, arti lunghi e dritti, più uniti che divaricati, fianchi rientranti e schiena dritta, manto bianco e aspetto leonino”, come lo descriveva Marco Terenzio Varrone già nel I° sec. a.C. nel suo Rerum Rusticarum.

Femmina adulta con il suo gregge al pascolo invernale nella campagna teramana
Femmina adulta con il suo gregge al pascolo invernale nella campagna teramana

Pressoché immutato rispetto a questa antichissima descrizione, è giunto fino a noi un cane di taglia imponente con 65-73 centimetri di altezza al garrese per i maschi, 60-68 centimetri per le femmine. Marcato il dimorfismo sessuale con pesi che oscillano tra i 35-40 chili per le femmine e anche 50 e oltre per i maschi più imponenti. Il pastore abruzzese è un cane resistente, rustico, ma dall’aspetto distinto e maestoso, capace di operare tanto con temperature rigide quanto al caldo o in condizioni climatiche avverse come temporali o nevicate. Forte e dotato di grande tempra, è noto anche per avere un’ottima salute di base che molto raramente necessita di cure diverse da una semplice dieta corretta.

 Transumanza verso pascoli alti del Parco Nazionale della Majella
Transumanza verso pascoli alti del Parco Nazionale della Majella

Il cane pastorale abruzzese nel suo lavoro a guardia degli armenti opera in branco; spesso si tratta di branchi familiari (padre, madre nonni, fratelli) e il numero di cani della muta da lavoro è solitamente proporzionato al numero di capi da proteggere, ma anche al territorio su cui gli animali pascolano e all’incidenza dei predatori su quel territorio. I cuccioli nascono solitamente in stalla o comunque non troppo lontani dagli stazzi, le cucciolate sono mediamente di 5-7 piccoli, ma possono essere anche più numerose. La peculiarità è che sin da piccolissimi i pastori abruzzesi vivono a contatto con l’ambiente della stalla, con quegli odori, i rumori, e ovviamente con le pecore, cementando così una relazione che porterà i cani ad essere disposti a immolarsi per difenderle e le pecore a fidarsi ciecamente di loro.

 Madre con cucciolata di pochi giorni in stalla
Madre con cucciolata di pochi giorni in stalla

In questo modo i piccoli inizieranno molto presto a frequentare il gregge e appena possibile i pascoli, e grazie a innate doti fisiche e mentali si inseriranno piuttosto lestamente nelle dinamiche e nelle strategie di guardiania già consolidate del branco: una miscela perfetta tra dote genetica e apprendimento dagli adulti li renderà cani da guardiania irreprensibili, perché il pastore abruzzese non viene addestrato dall’uomo, nasce e si forma tra le pecore col suo branco.

Giovane maschio al pascolo autunnale sui monti di Bagno (AQ)
Giovane maschio al pascolo autunnale sui monti di Bagno, frazione della città dell’Aquila

Contrariamente a quanto si è portati spesso a pensare, l’attività di questi guardiani bianchi non ha come scopo lo scontro col predatore, ma la dissuasione. I pastori abruzzesi presidiano costantemente il territorio stabilendo un perimetro di sicurezza attorno agli animali al pascolo all’interno del quale si mostrano assolutamente intolleranti agli sconosciuti e ancor più a potenziali pericoli. Il pastore abruzzese però non respinge fisicamente le minacce prima di aver fornito diversi segnali progressivi della sua intolleranza: abbiamo detto dissuasione prima di tutto! Quindi se ci avvicineremo troppo al perimetro di sicurezza che i cani hanno stabilito, inizieranno ad abbaiare per intimarci di non andare oltre. Se non seguiremo le loro indicazioni, da sdraiati o seduti si alzeranno continuando ad abbaiare e muoveranno le grandi code con ampie e potenti oscillazioni da un lato all’altro. Se risulteremo ancora sordi a queste esplicite intimazioni, muoveranno nella nostra direzione, ma è assolutamente consigliabile rispettare il loro perimetro già dalle loro prime rimostranze.

Gregge al pascolo estivo nel Fosso del Tordino, Monti della Laga (Parco Nazionale Gran Sasso/Laga)
Gregge al pascolo estivo nel Fosso del Tordino, Monti della Laga – Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga

Mentre una parte di loro si tiene più vicina al gregge, solitamente presidiando punti che autonomamente riconoscono come nevralgici rispetto a quel perimetro che hanno stabilito, uno o più soggetti esplorano il circondario, talvolta anche ampliando sensibilmente il raggio e con la loro presenza, come con le marcature, intessono un fitto dialogo volto a dissuadere il predatore, capace di cogliere questi messaggi, dall’avvicinarsi e tentare di attaccare gli animali al pascolo. A volte però questo non basta e i lupi sono abilissimi ad attaccare in branco con vere e proprie azioni coordinate, tentando di distrarre o allontanare i cani e di seminare il panico tra le pecore affinché si separino e qualcuna resti isolata. Ma anche il pastore abruzzese ha imparato a lavorare in branco, ancor più nella certezza che nessun cane è più forte di un lupo in uno scontro “uno contro uno”, e ogni elemento della muta avrà il suo ruolo. C’è chi dovrà rimanere più vicino al gregge, chi potrebbe staccarsi per inseguire il predatore (stando attenti a non cadere in imboscate, cosa non rara!) e infine chi – se inevitabile – non potrà sottrarsi dallo scontro diretto mettendo in pericolo la sua vita pur di difendere gli animali al pascolo.

Giovane maschio (con vreccale) a riposo durante la transumanza sui monti di Bagno (AQ)
Giovane maschio (con vreccale) a riposo durante la transumanza sui monti di Bagno, frazione della città dell’Aquila

Ed ecco spiegata la ragione per cui su alcuni cani è possibile osservare un vistoso collare di metallo con le punte, antico quanto il Pastore Abruzzese e chiamato “vreccale”, che il pastore fa indossare ai cani in prima linea contro il lupo. Quel collare ha lo scopo di proteggere la gola del pastore abruzzese dal letale morso del lupo. È chiaro dunque che, sin dalla sua genesi, il cane pastorale abruzzese non è mai stato un’arma, ma un punto di connessione tra istanze divergenti, l’ago della bilancia tra la necessità umana di proteggere la pastorizia e quella altrettanto lecita dei grandi predatori di sopravvivere.

Pastore col gregge in transumanza sui Monti della Laga
Pastore col gregge in transumanza sui Monti della Laga
Giovane maschio al pascolo autunnale nel Parco Nazionale della Majella
Giovane maschio al pascolo autunnale nel Parco Nazionale della Majella

Oggi come ieri il pastore abruzzese è una chiave di volta che raccorda e sostiene un arco che va da noi alla natura, tanto da essere giustamente riconosciuto come uno degli strumenti di tutela più efficaci proprio per la conservazione dei suoi atavici nemici: il lupo e l’orso.

Pastore col gregge in transumanza sui Monti della Laga
Pastore col gregge in transumanza sui Monti della Laga

Dalla voglia di raccontare il pastore abruzzese è nata l’idea di “Project Abruzzi, un progetto di osservazione, studio e documentazione fotografica sul campo, nato dalla mia comune passione con Alessandro Junior (cinofilo professionista ESCAC esperto in area comportamentale di Pescara)  per questo cane e per tutto ciò che esso rappresenta.

Per il progetto sono state individuate tre distinte linee di selezione pastorale del cane abruzzese, che sono espressione e operano in tre diversi allevamenti di ovini, dislocati in differenti contesti geografici d’Abruzzo ovvero nei territori delle province di Teramo, L’Aquila e Pescara. Per un periodo di dodici mesi abbiamo seguito le greggi e i loro cani nelle loro attività stagionali, la stalla o il pascolo invernale in aree periurbane, le transumanze, il pascolo estivo in alta quota, osservando, studiando e documentando così la capacità del Pastore Abruzzese di adattarsi ai diversi ambiti, a diversi territori e contesti.

Giovani maschi al pascolo invernale nelle campagne di Teramo
Giovani maschi al pascolo invernale nelle campagne di Teramo
cane pastorale abruzzese
Maschio con il suo gregge in transumanza sui Monti della Laga

Abbiamo osservato le dinamiche del branco, il legame inscindibile col gregge, le cucciolate. Abbiamo potuto ammirare la caparbietà di questo cane, la sua forza e l’equilibrio di cui è capace. E abbiamo osservato il rapporto col suo umano di riferimento, fatto di fatica condivisa, di caldo torrido e freddo pungente spesso entrambi nello stesso giorno, di qualche rara effusione e di tanto, tantissimo rispetto reciproco. Perché da un momento all’altro il lupo o l’orso per sopravvivere potrebbero decidere di attaccare e soltanto essere coesi, lavorare all’unisono e non cedere alla paura potrà salvare il gregge. E il pastore questo lo sa. Noi crediamo fermamente che raccontare questo confronto senza tempo tra il pastore abruzzese e i predatori, il fronteggiarsi aspro ma nel rispetto dei rispettivi ruoli, raccontarne le radici ataviche, come si è evoluto sino ad oggi e come si proietta in una realtà futura troppo spesso incline a soluzioni distruttive per il mondo naturale, sia sicuramente un tributo doveroso alla grandezza di questo cane, ma anche un modo per far conoscere e comprendere che, grazie a lui, la convivenza coi grandi predatori è qualcosa di possibile.

A cura di Roberto Besana – Testo e fotografie di Francesco Lorusso

Immagine in copertina: Transumanza verso i pascoli estivi sui monti di Bagno, frazione della città dell’Aquila