Le splendide immagini che vi proponiamo sono custodite e provengono dallo straordinario archivio fotografico della Società Geografica Italiana. Siamo nel 1930 e seguiremo la spedizione condotta e organizzata dal famoso naturalista Giotto Dainelli nel Karakorum, sub catena montuosa situata a nord-ovest della catena dell’Himalaya, una tra le zone del mondo più ricoperte da ghiacciai.

Giotto Dainelli Dolfi nacque a Firenze nel 1878 e si laureò nel 1900 in Scienze naturali all’Istituto di studi superiore di Firenze; iniziò a viaggiare giovanissimo con la macchina fotografica sempre al seguito per documentare le proprie ricerche sul campo. Compì numerose spedizioni esplorative in Africa Orientale e in Asia, nel 1901 fu in Marocco, nel 1905 in Eritrea e nel 1929 mise a punto un programma scientifico che si poneva come oggetto di studio principale il ghiacciaio Siachen nel Karakorum orientale, già in parte esplorato dalla spedizione De Filippi del 1913-14 alla quale lo stesso Dainelli aveva preso parte.

L’impresa avrebbe dovuto svolgersi con almeno cinque mesi di permanenza dei membri della missione in una zona completamente disabitata a un’altezza di 4800 metri. Giotto Dainelli si autofinanziò per non subire pressioni esterne per quanto riguarda la pianificazione del viaggio, restando comunque sotto gli auspici della Società Geografica Italiana. Alla missione parteciparono, scelti dallo stesso naturalista, il governatore del territorio trans-himalayano e dello stato del Kashmir, Hashmatullah Khan, e l’alpinista Elly Kalau von Hofe, per anni sua fedele collaboratrice, ricercatrice botanica e poliglotta e due ufficiali dell’ IGM, Enrico Alfonso Cecioni e Alessandro Latini.

Il 9 aprile dopo aver organizzato tutto nei minimi dettagli, Dainelli lasciava Firenze per intraprendere la campagna estiva sui maestosi ghiacciai del Karakorum e nell’alta valle Nubra dove pare fosse molto difficoltoso accedere viste le frequenti piene del fiume. In cammino verso il ghiacciaio Rimu, la carovana carica dovette affrontare una tempesta di neve che non impedì il raggiungimento degli oltre 6100 metri di quota del colle Rimu-La, tra Tarim e Rimu, mai conquistato dalle spedizioni precedenti e che venne ribattezzato Colle Italia, toponimo presente sulle carte fino agli anni Cinquanta.

Giotto Dainelli nel suo diario ci racconta la traversata per raggiungere il Colle Italia:
«La notte fu freddissima: dormii poco, perché l’ansia non era ancora passata. Alle 7 erano ancora 12 gradi sotto zero; ma il sole radioso già riscaldava in pieno. A mezzogiorno sono giunti tutti i portatori. Fu una specie di passeggiata. Il ghiacciaio diveniva sempre meno inclinato, sempre più pianeggiante, sempre più ampio. La neve ottima, il passo sicuro. Era bella, quella avanzata sul grande altipiano di ghiaccio: dietro di noi avevamo ancora la insuperabile visione che il campo ci aveva già concessa, però sempre più ampia; e davanti a noi, mentre salivano lentamente, dietro la linea di ghiaccio che costituiva il nostro vicino orizzonte, affioravano a poco a poco, cime di altri monti, fin allora ignoti a noi: erano i monti d’oltre Rimu. Ed alle 5 del pomeriggio, il lieve pendio del nevato si appianava in una immensa distesa, che verso l’alto bacino del Rimu Centrale. Eravamo, finalmente sul colle, a circa 6100 metri. Per me l’emozione era grande, per me era, oltre tutto, il termine di un periodo di ansie ed il trionfo che le premiava. […] E fu allora, in quel campo alto, che tagliai un pezzo di tela verde dal mio letto, e presi un sacchetto, bianco per raccolta di rocce, e staccai la fodera, rossa, del mio “topi”; e mi feci confezionare, da Kalau, una bandierina tricolore. E il giorno dopo, oltre ogni altra sensazione ebbi anche la ineffabile gioia di gridare in cospetto dei monti più alti della Terra, in mezzo al mondo glaciale più grandioso che esista, un “viva l’Italia”, mentre la mia piccola bandiera sembrava trionfare, legata alla mia piccozza, su quel colle traversato, per la prima volta, da una carovana italiana, tra un ghiacciaio , il Rimu, esplorato da una Spedizione italiana, e un altro, il Siàcen, studiato a fondo da un’altra Spedizione italiana. E imposi il nome: Colle Italia.»
(Giotto Dainelli, Il mio viaggio nel Tibet occidentale, Milano, Mondadori, 1932)

La Società Geografica Italiana custodisce gran parte del materiale fotografico prodotto durante il viaggio, circa 3000 fototipi, tra negativi e positivi alla gelatina d’argento. L’opera di Dainelli si è concentrata soprattutto su immagini paesaggistiche di interesse geologico e geografico, immagini che raccontano l’itinerario che lo studioso ha intrapreso per osservare e descrivere le fasi salienti di avvicinamento al ghiacciaio Siachen, il più esteso della catena del Karakorum e il secondo del mondo.

Nel complesso, la collezione fotografica testimonia l’insaziabile curiosità dello studioso Giotto Dainelli che, attraverso lo scatto, fissa incontri, persone ed eventi prolungando il suo rapporto con tutto ciò che è oggetto della propria ricerca e permette a noi di usufruire di un prezioso patrimonio iconografico e documentario.
di Davide Chierichetti e Susanna Di Gioia – Società Geografica Italiana