Con l’ultimo volume di Storia della bambina perduta, Elena Ferrante riduce al silenzio tutti i personaggi che si muovono nel rione di Lila e Lenù, ovvero Raffaella Cerullo ed Elena Greco, protagoniste della tetralogia de L’amica geniale.
Il rione degli anni Cinquanta in cui sono nate Lila e Lenù corrisponde a un luogo povero e degradato a ridosso della zona industriale di Gianturco e di Poggioreale, cioè il quartiere popolare Luzzatti di Napoli, nella periferia est del capoluogo campano. Qui le logiche ingiuste e aggressive di un ordine maschile castrante cercano di prevalere anche sulle protagoniste che, fin da bambine, cercano invece di opporsi grazie alla parola scritta e ai libri, per loro la sola forma possibile di emancipazione, un ponte verso la vita bellissima che hanno sempre immaginato, fatta di seduzione e desideri, ma anche di momenti di solitudine profonda.
Le protagoniste sfidano il rione dominato dall’ignoranza e dalla miseria, una zona dormitorio che presenta edifici umili e strade abbandonate all’incuria, e per questo rivelano subito quanto siano diverse da tutti gli altri personaggi, perché vogliono essere libere di inseguire, pur essendo fragili, un proprio modello di felicità. Lenù non smette mai di osservare e ascoltare, studia, scrive e ha bisogno di Lila per farlo. Lenù conosce il potere benefico dei libri e dell’ordine che attribuiscono all’esistenza, ma è anche consapevole della violenza brutale che generano parole di denuncia in un luogo in cui violenza domestica e sopraffazione delle strade sono quotidiane. Lila vuole che Lenù continui a studiare e a scrivere, a raccontare la loro verità per ferire Michele e Marcello Solara, il simbolo distintivo della parte marcia e pericolosa del rione, ma anche di Napoli. Lila ricerca con fatica una pace e un equilibrio che non le appartengono, mentre continua ad attribuire un potere misterioso alle parole come fonte di rivoluzione e cambiamento.
Al pari di Michele e Marcello, anche le protagoniste dimostrano il proprio potenziale distruttivo, che mettono in atto suscitando sorpresa e desiderio di vendetta da parte dei Solara. Il connubio di pensieri e azioni delle due amiche insieme genera allora l’amica geniale, due voci di un visconte dimezzato che offre una parte buona, con Lenù, e un’altra che genera paura, con Lila.
Proprio grazie alla realtà rigida e compatta del rione, così statico e onnicomprensivo, nemico della varietà e dell’ambivalenza, la Ferrante definisce il concetto di smarginatura, una condizione associabile alla modernità liquida di cui ha parlato Zygmunt Bauman e che caratterizza l’esistenza instabile di Lila e Lenù. Mentre le protagoniste sembrano dilagare nell’incompiutezza delle loro scelte, affrontano paure e angosce, talvolta in modo vacillante e incerto, afferrano di continuo le novità, belle o brutte che siano. Apparentemente informi perché liquide, sia Lila che Lenù producono tentativi di modellamento su vicende, cose, persone e, soprattutto, nel legame che le tiene unite.
Terrorizzata da sempre dalla smarginatura delle cose, fragile, mentre cambia di continuo perché perennemente indefinita, Lila lascia un ultimo messaggio alla sua amica facendole recapitare le bambole con cui giocavano da piccole e grazie a cui è cominciato tutto. Si rifugia invece a Torino Lenù, da sempre tormentata dal vuoto del quasi nella sua vita, mentre si misura con le esperienze che hanno lasciato una smarginatura dentro di sé perché non fissa uno spazio e un tempo suoi, ma asseconda il flusso e in questo modo aggira gli ostacoli.
La storia de L’amica geniale volge al termine lasciando al pubblico il racconto di un rione vecchio ma che è un riflesso di altri luoghi d’Italia in cui non si riconoscono ancora cambiamenti significativi, in cui scelte di vita sbagliate conosciute nell’infanzia, attraverso genitori, parenti e amici, sono invece il motivo per cui occorre distruggere tutto e imparare a smarginarsi e smarginare per ricostruire i presupposti di una società che sa mutare positivamente quando occorre.
di Rossana Rizzitelli