Alberto Biasi – Light Prism n.2 1962,(part.) 100×100 cm. Prismi,luce,elettromotori,specchi e legno. Foto di Antonio Renda
Arte e società globale
Viviamo nell’era della globalizzazione e delle connessioni comunicative multiple; il “Villaggio globale” profetizzato dal sociologo Marshall McLuhan è diventato realtà. Il mondo, di cui è difficile individuare il centro, è attraversato da autostrade telematiche, sempre più simile ad una immensa, brulicante, periferia. Le tecnologie digitali, la comunicazione-rappresentazione attraverso gli ipermedia, la diffusione planetaria di internet, hanno trasformato il nostro quotidiano imprimendo un’accelerazione radicale ai processi di conoscenza.
L’opera d’arte ai tempi di internet
Accade così anche con l’arte, parte integrante delle dinamiche conoscitive complesse e articolate che caratterizzano la società globale, per la quale il web e la reticolarità pervasiva di internet costituiscono uno strumento di comunicazione e un luogo immateriale che ha allargato a dismisura le possibilità di confronto e di scambio, un luogo di relazioni e di divulgazione (soprattutto commerciale) dell’opera.
La Transavanguardia
In effetti, stiamo attraversando tempi di intensa trasformazione sociale in cui sono in agguato gli aspetti imprevedibili della globalizzazione, la “minaccia” sempre presente della omologazione culturale. L’arte non è certamente rimasta immune da fenomeni mutazionali epocali. Le istanze di una società complessa, post-industriale, post-moderna, fluida e multiculturale, di fatto, hanno generato nuovi modelli di pensiero aprendo orizzonti di sviluppo inediti e imprevedibili anche al mondo dell’arte. Verso la metà degli anni Sessanta (si ricordi l’arrivo degli artisti Pop statunitensi alla Biennale di Venezia del 1964) si assiste al successo straripante della Pop Art. Si legga anche: https://www.globusrivista.it/mimmo-rotella-strappare-la-pelle-dei-muri-per-rigenerare-segni/
Va affermandosi una nuova concezione post-moderna di tempo e di spazio senza limiti e direzioni misurabili; negli anni Ottanta si ha il ritorno prepotente alla pittura che coinvolge ed emoziona senza eccessive implicazioni cerebrali: è il momento della Transavanguardia in Italia e dei ”Nuovi Selvaggi” tedeschi, movimenti e correnti espressive che mettono in discussione le stesse strutture concettuali dell’avanguardia.
L’arte degli anni Ottanta
In un suo dossier sugli anni Ottanta, Stefano Chiodi conclude il suo percorso analitico affermando che «gli anni Ottanta non sono mai finiti. Da qualunque punto di vista li si osservi, essi appaiono più che mai l’antefatto, l’incubatore del nostro presente» . Questi anni, infatti, hanno decretato il declino delle utopie e delle ideologie e l’entrata decisa, inarrestabile nell’era della globalizzazione, della destrutturazione e virtualizzazione costante del nostro stesso essere, catapultato nel vuoto di certezze, sospeso tra le paure di un futuro sempre più complesso e problematizzato.
Ugo La Pietra – 1982 – Casa telematica
Nuove estetiche nell’arte
Dagli anni Ottanta in avanti fino al nuovo millennio, ad oggi ancora, continua a crescere la popolarità di un’arte che propugna il “pensiero debole” della post-modernità di cui è figlia la globalizzazione; un’arte non più rispondente alle categorie “classiche” individuate dalla critica e che può prescindere dalle sue intermediazioni culturali perché più “facile” e accessibile nella fruizione a chiunque si avvicini ad essa; sempre più sistema di comunicazione, nel contesto di una cultura globale, in cui prevale l’aspetto tecnologico-informatico e l’intento di stupire, scandalizzare col ricorso al monumentale, allo smisurato, alla ripetizione dell’identico, allo spettacolare. Così Jeff Koons diventa pioniere di una “nuova estetica come il mago di Oz e Walt Disney”, proponendo opere che spesso diventano “trofei chic da miliardari”; Cattelan provoca reazioni indignate e scandalizzate mostrando le immagini del Papa schiacciato da un meteorite o esponendo in una piazza pubblica dei fantocci di bambini impiccati. Il fruitore, ancora legato a poetiche e a tecniche, prova smarrimento e sconcerto di fronte ai dettami di un’estetica derivata da un pragmatismo critico votato alle sorti dell’effimero e dai meccanismi di alta speculazione finanziaria del mercato.
Nuovi territori artistici
Inoltre le mutazioni imposte dalla globalizzazione hanno portato alla ribalta nuove culture e, conseguenzialmente, nuovi territori artistici da esplorare e con cui confrontarsi, con l’allargamento progressivo di varianti di sistema e relativa perdita di centralità dei territori linguistici preesistenti, quelli, per intenderci, occidentali ed europei in particolare.
Il consumo mediatico dell’arte
Soffermandoci sul contesto artistico italiano, in cui è ancora forte il modello linguistico occidentale, le possibili riflessioni si appuntano su mutazioni e persistenze in un territorio (frammentato nei suoi innumerevoli territori), anch’esso immerso nel vorticoso processo di globalizzazione in atto, di cui si possono cogliere spostamenti e cambiamenti interni di matrice linguistica e culturale, collocazioni, periferiche o sostanziali, all’interno del mercato globale dell’arte. In fondo bisogna prendere atto che il mondo dell’arte si è aperto ai parossismi linguistici ed economici della globalizzazione, alla sua velocità di “consumo” mediatico, ai destini mutazionali da essa imposti, così il contesto, il luogo come dimensione in cui prende corpo e si sostanzia l’essenza dell’opera, il territorio stesso come persistenza di radici storico-culturali riconoscibili, sono diventati ormai concetti “elastici”, estendibili o riducibili a seconda del caso, con varianti semantiche mutuate dai linguaggi dell’arte globalizzata.
Déjà vu e innovazione artistica
Ciononostante, le geografie dell’arte contemporanea, i diversi territori linguistici e culturali traducono la vitalità di un “intorno” dell’opera, di un tessuto operativo fecondo, di ricerca continua. A ben considerare, essi rivelano un insieme di produzioni artistiche e modelli espressivi in gran parte derivati dai linguaggi della Modernità, ma riconducibili nell’alveo linguistico senza confini della contemporaneità, in cui tutto sembra lecito, perfino “l’accettazione acritica di ogni azione” – per dirla con Marco Meneguzzo – e in cui l’opera che ha radici nella storia condivide rapporti di contiguità, non si sa quanto conflittuali o indifferenti, con un déjà vu che veste i panni dell’innovazione, con modelli linguistici globalizzati che, il più delle volte, attingono a modalità espressive già sperimentate, rendendo praticabile il ricorso alla memoria, sia pure come nobile citazione.
Teodolinda Coltellaro – critico d’arte