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Attraversando la pianura in bici, da Bologna a Torino

Vi raccontiamo un viaggio in bici da Bologna a Torino inserito all’interno di un percorso di bike coaching, realizzato dalla società X Coaching nel mese di giugno 2022. Alternando sessioni di coaching di gruppo e uscite in bici di gruppo per allenarsi progressivamente e imparare ciò che serve per viaggiare in autonomia, la bici diviene uno strumento catalizzatore per la crescita personale, metafora e strumento per lavorare sulla propria identità e sui propri obiettivi. Ogni partecipante ha elaborato, con il supporto della coach Sara Poluzzi, un proprio piano di azioni personale ed è partita, ad esempio, sapendo quanti chilometri il proprio livello di allenamento avrebbe consentito di pedalare: così sono nati dei sottogruppi che hanno percorso i 450 chilometri in 3, 4 o 5 giorni e che con gioia si sono ritrovati lungo il percorso, senza forzature, ognuna col proprio ritmo. Le partecipanti non avevano mai avuto esperienza di viaggio in bici e nessuna di loro è una vera sportiva: lungo il percorso di coaching ogni partecipante si è alleggerita di ciò che, mentalmente, la appesantiva focalizzandosi su ciò che serviva per arrivare all’obiettivo.

 “Il panorama è sempre sfumato, anche se è vasto, e l’arte della velatura e delle foschie eccelle” (F. Caramagna)

“I suoni della pianura a volte sono lievi come remoto sottofondo di risacca, altre volte sono rumorosi e sanno di civiltà e ingranaggi sempre in movimento”. (F. Caramagna)

Tante sono le frasi che descrivono quest’area geografica d’Italia. In effetti la Pianura Padana ha un clima temperato umido con estate molto calda, e l’inverno è altrettanto umido e nebbioso. Dal punto di vista geologico è una pianura alluvionale che si estende lungo l’Italia settentrionale, principalmente entro il bacino idrografico del fiume Po. Eppure, attraversandola in lungo e in largo, magari seguendo le strade che costeggiano il suo grande fiume, le definizioni tecniche si attenuano, e cresce la sensazione di una maestosa culla di ingegno, laboriosità e passione. Un modo per scoprirla e conoscerla, sicuramente meno frequente ma in sviluppo continuo, è attraversarla in bicicletta, magari risalendola da est a ovest, da Bologna a Torino, a tappe misurate, lungo le ciclovie che l’attraversano, per scoprirne e assaporarne i segreti, in compagnia, animati dalla comune passione del vivere in bicicletta. Non stupisce che questa avventura inizi proprio a Bologna, nel capoluogo dell’Emilia-Romagna. Non esistono statistiche ufficiali su quante biciclette vengano utilizzate in questa regione, semplicemente perché qui la bicicletta la utilizzano quasi tutti, giovani, bambini e anziani. E non è un caso che la vicina Ferrara sia denominata la “città italiana delle biciclette” con il tasso tra i più alti in Europa di cittadini che utilizzano questo mezzo. Questo modo di vivere è ciò che gli anglosassoni definiscono “outdoor living”; è la bassa velocità delle due ruote che consente di attraversare lentamente un territorio, carpirne i segreti e innamorarsi dei suoi paesaggi, al ritmo più o meno veloce dei pedali.

In questo contesto vivo e curioso, si inserisce la storia di viaggio di Angela, Carmela, Elena, Fulvia, Luana, Mark, Francesca, Paola, Sara, Silvia, Stefania, e Tiziana con i loro appunti e le loro fotografie per oltre 450 chilometri, lungo la Eurovelo8, la ciclovia della Food Valley, la ciclovia del Po, seguendo il ciclo-viaggio come un fil rouge, percorrendo la Pianura Padana.

“… come primo viaggio in bici non è stato facile decidere di cosa si può fare a meno. Credo sia qualcosa che impari sulla tua pelle, decidi volontariamente verso la leggerezza come libertà, è una metafora di vita che ti dona la bicicletta. Compresa la libertà di portarti tutto, di pedalare più lenta e con maggiore pesantezza…” (Stefania Baldisserri e Tiziana Massa)

Martedì 31 maggio – Immersi nella ricca “bassa” emiliana, dalla Motor Valley alla Food Valley

“Il cielo è coperto, pioviggina ma questo ci garantisce una temperatura gradevole. Percorriamo strade di campagna, strade asfaltate e sterrate, che attraversano la nostra campagna, proprio quella fuori dalla porta di casa. Campi di grano spettinati dalle recenti piogge, spighe spiaggiate ancora un po’ verdi ma con sfumature di giallo tostato. Abbiamo percorso mille volte queste strade in automobile ma non abbiamo mai “visto” tanta bellezza” (Carmela Cellamare e Silvia Pondrelli)

 “Attraversando la Pianura” inizia così, dopo mesi di allenamento fisico e mentale. La tappa iniziale attraversa la prima parte della “bassa emiliana”, quell’area della pianura che corrisponde idealmente alla linea delle risorgive, con suoli formati da materiali più fini, come le argille, impermeabili o poco permeabili, dove le acque ristagnano originando facilmente paludi e acquitrini. Il percorso segue idealmente le strade vicinali e interpoderali in cui è frammentato il territorio della “bassa”, tra canali di scolo, ponticelli, campi di grano, di orzo, di mais, paesini, poderi, fienili, e campanili.

Sulle strade della Bassa

“… è caldo umido, è uscito il sole, e per non abbandonarci a stanchezze ci distraiamo con quel che ci circonda: un’alternanza di argini, alberate di pioppi, campi di grano e ci concediamo una rinfrescata giocando come bambini, sotto il getto degli irrigatori a pioggia che dai campi coltivati bagnano il nostro percorso…” (Carmela Cellamare e Silvia Pondrelli)

 Il processo di antropizzazione ha sfruttato nei secoli queste peculiarità naturali in modo estremamente raffinato ed efficace. Si pensi alla rete di canali fluviali per il trasporto delle merci e delle persone che nel passato collegava il Po, e quindi il mare, con le importanti città dell’Emilia-Romagna distese lungo la Via Emilia. Un chiaro esempio di porto-canale è rinvenibile a Bomporto (originariamente Buon Porto), in provincia di Modena, le cui terre paludose furono bonificate dai monaci benedettini dell’Abbazia di Nonantola (sec. IX-X).

Bomporto (Fonte: wikipedia)

La tappa attraversa alcuni dei luoghi più importanti della “bassa emiliana”. Nonantola, fondata nel 182 a.C. dai Romani, come colonia di novanta centurie (appunto “nonaginta”, poi Nonatula, ed infine Nonantola). Nel  752  a Nonantola fu fondato un monastero benedettino, quale avamposto per consolidare la penetrazione longobarda ad est del Panaro e controllare le comunicazioni tra Bologna e le direttrici di Piacenza e Verona. Grazie alle donazioni e alla costante benevolenza imperiale, tra il IX e il X secolo la bellissima Abbazia di Nonantola raggiunse un’importanza culturale, una potenza ed una ricchezza che a livello europeo la mettevano al pari delle potenti abbazie benedettine di Cluny e Canterbury.

Cattedrale di Nonantola
Cattedrale di Nonantola, interno
Torre Comunale di Nonantola
Edicola a Nonantola

Carpi, di origine incerta. Il toponimo potrebbe essere collegato alla situazione del paesaggio padano, all’epoca ricco di boschi caratterizzati da alberi di alto fusto, e tra questi moltissimi esemplari di carpino. Carpi era un borgo medievale di origine preistorica (civiltà villanoviana), rifondato probabilmente come roccaforte (castrum Carpi) nell’Alto Medioevo. A partire dal XIV secolo fu sede della signoria dei Pio, per passare poi a far parte dei domini estensi nel Cinquecento. Nel 1779 fu eretta a sede diocesana. Tristemente al centro degli eventi locali durante la seconda guerra mondiale, a partire dal 1942, nella frazione di Fossoli fu attivo un campo di prigionia e concentramento, da cui numerosi internati furono deportati verso i campi di sterminio in Germania. Oggi trasformato in memoriale e museo. Il campo di Fossoli fu la prima sede dell’iniziativa di don Zeno Saltini a favore degli orfani di guerra e dei diseredati che poi portarono alla comunità di Nomadelfia. Nel secondo dopoguerra Carpi si è profondamente trasformata grazie allo sviluppo dell’industria della maglieria. Il centro storico si sviluppa tutto attorno alla stupenda e ariosa piazza Martiri e a piazzale Re Astolfo, cuore medioevale della città, dove prospettano la cattedrale di Santa Maria Assunta e il Palazzo dei Pio, dell’omonima famiglia, un insieme disomogeneo di edifici di periodi diversi.

Carpi, piazza Martiri
Carpi, piazza Martiri

“Se è strabiliate la bellezza della enorme piazza dei Martiri e dai caldi colori degli edifici circostanti, soprattutto della Cattedrale, a me è piaciuta tantissimo Santa Maria in Castello, piccola, medievale, con l’alto e leggero campanile” (Silvia Pondrelli)

Carpi, Santa Maria in Castello

Correggio, il cui nome deriva dal latino corrigia o corrigium, che significa striscia di cuoio, cintura, cinghia, con estensione del significato a «striscia di terra tra paludi» o «striscia di terra tra le acque». A differenza di altre località limitrofe, Correggio presenta una chiara origine medievale legata alla dominazione longobarda. Il toponimo “corrigia” appare per la prima volta in un documento del 946. Correggio è abbastanza famosa per essere stata una delle prime località collegate dalla linea ferroviaria verso Reggio Emilia (1886), seguita l’anno successivo dalla tratta per Carpi. Colorno, piccolo comune in provincia di Parma, famoso per lo stupendo Palazzo ducale, edificato sulle strutture della rocca eretta nel 1337 da Azzo da Correggio con lo scopo di difendere l’Oltrepò. Dopo numerose vicissitudini e passaggi di proprietà, nel novembre 1807 un decreto di Napoleone lo dichiarò “Palazzo Imperiale”. Dopo il Congresso di Vienna, il ducato di Parma fu assegnato alla moglie di Napoleone, Maria Luigia d’Austria, che ne fece una delle sue residenze preferite. Dopo l’Unità d’Italia la reggia di Colorno venne ceduta dai Savoia al Demanio dello Stato italiano, e nel 1870 venne acquistato dalla provincia di Parma. In questi passaggi, quasi tutto l’arredo mobile del palazzo fu trasferito nei vari palazzi dei Savoia, tra cui il Quirinale a Roma, Palazzo Pitti a Firenze, il Palazzo reale di Torino e la Palazzina di caccia di Stupinigi. Nonostante ciò, la reggia di Colorno mantiene intatto il suo fascino regale.

Reggia di Colorno

A Colorno, ci divertiamo a zigzagare con le nostre bici nel giardino della piccola Versaille, la reggia dei Duchi di Parma. Poco più avanti, più o meno all’altezza di Boretto, un’altra sorpresa:un bellissimo murales dedicato ad Alfonsina Strada. Donna, ciclista, ispirazione!” (Angela Ribeiro e Francesca Mari)

Assolutamente da vedere a Boretto,  in provincia di Reggio Emilia, il murales dedicato ad Alfonsina Strada, emiliana “doc” e ciclista su strada, all’insegna della street art e della mobilità sostenibile.

Murales Alfonsina Strada, Boretto (RE)

Mercoledì, 1° giugno – Costeggiando il Po dalla “bassa” emiliana alla “bassa” lombarda

“Dopo poco più di 100 km di viaggio, l’emozione dell’incontro con il Po! Da qui in poi, ci troveremo ad affiancare più volte le sue sponde, pedalando in direzione contraria alle sue acque. Su quale sponda proseguire? Due percorsi alternativi portano a Cremona. Un po’ più breve quello che attraversa subito il Po in direzione Viadana, immerso nella natura, dove in sella alla bici puoi ammirare il fiume in tutta la sua grandezza, sentire la vita che lo circonda, godere dei profumi e dei colori della natura. Come dimenticare le distese dei campi di grano in cui il vento ha lasciato le sue impronte. Invece, restando sulla sponda destra si prosegue in terra emiliana, nei luoghi raccontati da Guareschi nelle avventure di Don Camillo e Peppone, attraverso piccoli paesi d’altri tempi e gustando la ricca offerta enogastronomica locale: si segue la Food Valley Bike, chilometri di percorsi ciclabili segnalati e ben curati con l’obiettivo di valorizzare il territorio, con le proprie preziosità ambientali e culturali, grazie al turismo slow” (Angela Ribeiro e Francesca Mari)

La seconda tappa abbandona il lato destro del Po a Casalmaggiore per entrare nelle terre della provincia di Cremona, e attraversare la prima parte del territorio della “bassa lombarda”. Il paesaggio continua ad essere totalmente privo di rilievi, ma il territorio e la relativa antropizzazione sono plasmati dalle valli fluviali ancora più marcate, sia dei fiumi attuali sia di quelli relitti (come il Serio Morto, il Morbasco, il Delma, il Lisso) che hanno modulato la pianura con lievi ondulazioni e piccole depressioni profonde pochi metri rispetto al piano alluvionale.

Sulle strade della Bassa
Cattedrale di Cremona

Superata Cremona, in cui è possibile ammirare i capolavori architettonici della piazza del comune, la Cattedrale, il Battistero a otto facciate e il campanile del Torrazzo, caratterizzato da un orologio astronomico, il viaggio prosegue in un territorio pianeggiante, per gran parte compreso nella vallata golenale dell’Adda, un fiume che ha condizionato profondamente nel tempo la storia stessa degli insediamenti del territorio.

Pizzighettone, punto di arrivo della seconda tappa, è situato lungo il fiume Adda a pochi chilometri a Nord dalla confluenza nel Po. La presenza di un guado nei pressi del futuro insediamento certamente determinò sin dall’antichità preromana la sua rilevanza per il controllo della regione. Si risale ai Celti (III secolo a.C.) con l’antica piazzaforte di Acerrae, che sorgeva in vicinanza del fiume Adda. In epoca romana Acerrae divenne una stazione di transito (statio) della diramazione secondaria della via Mediolanum-Placentia che si staccava da Laus Pompeia (Lodi Vecchio) e che raggiungeva Cremona. È durante il Basso Medioevo, nel XII secolo, che il comune di Cremona fondò l’attuale Pizzighettone, realizzando un castrum sulla sponda orientale del fiume Adda, lungo la strada che dal capoluogo cremonese conduceva verso Pavia e Lodi-Milano. Pizzighettone divenne un importante caposaldo fortificato, a più riprese ampliato e potenziato sotto i vari potentati che si succedettero durante i secoli: le signorie cremonesi (Ugolino Cavalcabò, Cabrino Fondulo), milanesi (Visconti, Sforza), la Repubblica di Venezia, i sovrani di Francia, gli Asburgo di Spagna e d’Austria, i Borbone, i Savoia, e Napoleone Bonaparte. Le sue strutture fortilizie rimasero attive per scopi difensivi sino al 1866, cioè fin oltre l’Unità d’Italia. Ancora oggi esistono ben conservate le antiche difese cittadine: una possente cerchia muraria sulla sponda sinistra del fiume e una vasta serie di difese bastionate sulla destra dell’Adda.Accanto a questi, edifici antichi come la chiesa parrocchiale di San Bassiano Vescovo (1158) e il Palazzo Comunale (secolo XV). Da segnalare che nel 1525 fu tenuto prigioniero nella torre detta del Guado della Rocca – oggi semidistrutta – il Re di Francia Francesco I di Valois dopo la sconfitta subita a Mirabello di Pavia. Il territorio è pianeggiante, per gran parte compreso nella vallata golenale dell’Adda. Lo stesso centro storico è attraversato dal fiume, che lo divide in due parti distinte: l’abitato principale di Pizzighettone sulla riva est e la borgata di Gera su quella ovest.

“… pedaliamo spensierate, con l’aria sul viso e un’emozione crescente” (Carmela Cellamare e Silvia Pondrelli)

La vegetazione locale è quella tipica della bassa pianura lombarda, con larga presenza di pioppo, robinia, salice e sambuco.In aree circoscritte, soprattutto presso le rive o le lanche del fiume Adda, esistono ancora lacerti delle originarie foreste planiziali: fra queste, il Bosco del Mares, dove si rintracciano esemplari di farnia, ontano e rovere. Tuttavia, gran parte del territorio è destinato all’agricoltura. Le aree agricole sono divise in vasti appezzamenti e sono attraversate da numerose rogge e cavi.

Sulle strade della Bassa

Giovedì, 2 giugno – Alla scoperta del Pavese

La terza tappa prosegue nella “bassa lombarda” fino a raggiungere Pavia, attraversando le terre del “Pavese”.

Sulle strade della Bassa

Attraversata dai due maggiori fiumi italiani, il Po e il Ticino, che confluiscono quasi nel suo centro, il territorio della provincia di Pavia appare, a seconda dei punti di vista, diviso o unito da questi importanti fiumi. Fu storicamente diviso quando il suo destino fu deciso da forze esterne, per le quali un fiume poteva essere un comodo confine amministrativo o politico-militare; al contrario, quando furono le forze locali a poter giocare un ruolo determinante, prevalse la tendenza all’unione delle terre lungo i fiumi, in quanto – all’epoca – principali vie di comunicazione nella pianura, e motivo di forte coesione sociale, oltreché economica. Sia dal punto di vista amministrativo, che geografico, questa porzione della “bassa lombarda” si distingue in tre zone ben caratterizzate: il Pavese, situato in Pianura Padana, nella parte nordest della provincia, che deriva il nome dal capoluogo della provincia, Pavia; la Lomellina, sempre in Pianura Padana, a nord del Po, con centro nella città di Vigevano; l’Oltrepò Pavese, in territorio appenninico, a sud del Po, che deriva il nome dal suo essere appunto dall’altro lato del Po rispetto al resto della provincia. Di queste tre zone la Lomellina è quella più estesa, seguita dall’Oltrepò, mentre il Pavese ha un’estensione di circa la metà della Lomellina.

Lomellina
Lomellina

La provincia è in gran parte pianeggiante (territori del Pavese, Lomellina e Oltrepò pavese a ridosso del fiume). La pianura a nord del Po ha una base sabbiosa, specialmente in Lomellina, ove affiorano alcuni sabbioni (resti di antiche dune) un tempo assai più numerosi. Nell’Oltrepò la poca pianura presente è prevalentemente argillosa; più a sud l’Oltrepò presenta un’ampia area collinare facente parte della catena Appenninica, mentre solo all’estremità meridionale quasi all’improvviso le montagne si fanno più impervie e raggiungono altitudini considerevoli con alcune delle maggiori vette dell’Appennino Ligure (Monte Lesima).

“Gli incontri con le persone sono una parte viva di questo viaggio: le persone curiose di conoscerti e che hanno voglia di raccontarti un pezzetto di sé e dei propri luoghi, quelle che si danno il tempo per accoglierti, quelle che si fermano ad aiutarti se ti vedono in difficoltà, quelle con cui scambiamo anche solo un sorriso e un saluto” (Elena Cavassa)

 “… la giornata fila liscia tra racconti, soste per bere, per ammirare il paesaggio, canzoni cantate a squarciagola, e silenzi dove sei tu e il tuo corpo un po’ dolorante ma forte, vivo, vitale che pedala e macina chilometri, portandoti dove vuoi, se lo vuoi” (Stefania Baldisserri e Tiziana Massa)

Pavia, Lungo Ticino

Pavia, posta lungo la Via Francigena e sulle rive del fiume Ticino, poco a nord dalla confluenza di quest’ultimo nel Po, affonda le sue origini all’epoca delle tribù galliche.

Successivamente divenne municipium romano con il nome di Ticinum. Nel Medioevo insieme a Ravenna e Verona fu una delle sedi regie del regno Ostrogoto, poi capitale per due secoli del Regno longobardo e infine, dal 774 al 1024, capitale del Regno Italico, mentre dal 1365 al 1413 ospitò la corte viscontea. Le origini antiche e un passato storico di rilievo hanno lasciato in eredità a Pavia un ragguardevole patrimonio artistico: fra le principali attrazioni turistiche della città, annoverata tra le città d’arte della pianura padana, si possono ricordare il Castello Visconteo, la basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, i Musei Civici, la Pinacoteca Malaspina, il Duomo, la basilica di San Michele Maggiore e il caratteristico Ponte coperto. La città è inoltre il capoluogo di una provincia dedita soprattutto all’agricoltura, in particolare a viticoltura, risicoltura e cerealicoltura, mentre molto più contenuto è il peso del settore industriale. Pavia è inserita nel parco del Ticino e all’interno dei confini comunali si trovano alcuni boschi (bosco Negri e bosco Grande) testimoni della grande foresta planiziale che un tempo ricopriva la Pianura Padana.

Venerdì, 3 giugno – A zonzo per le risaie della Lomellina

“… pedaliamo in mezzo alle risaie della Lomellina. I paesaggi che incontriamo ci ripagano della fatica e della pioggia che non smette di scendere. Solo un viaggio lento come quello che consente la bici dà la possibilità di attraversare questi paesaggi incantevoli, che non avremmo mai visto se a Torino fossimo andate con un altro mezzo di trasporto”  (Elena Cavassa)

Lomellina

Tappa di prevalente interesse paesaggistico-naturalistico, attraversa l’area più estesa della provincia di Pavia, la Lomellina, il cui nome deriva dal comune di Lomello, già municipium romano. Si tratta di un’area storico-geografica che confina con il Monferrato a ovest, a sud del Po con il Tortonese e l’Oltrepò Pavese. Oltre il Ticino i confini sono spartiti con il Pavese e il Milanese. Territorio da sempre a forte vocazione agricola, la cui coltura predominante è il riso, oltre alle colture a campi, e marcite. Un territorio pianeggiante come quello lomellino non mostra, a un visitatore occasionale, evidenti segni di eterogeneità ambientale.  La maggior parte del territorio è occupata dalle coltivazioni che sembrano aver sottratto ogni spazio alle formazioni vegetali spontanee. Il terreno così piatto e uniforme è peraltro il risultato di una plurisecolare azione dell’uomo, che ha trasformato un territorio originariamente costituito da piccole ma percettibili ondulazioni (dossi o sabbioni) sulla cui sommità si sviluppava una vegetazione caratteristica delle zone aride, alle quali si alternavano avvallamenti ove l’umidità del terreno, molto pronunciata, consentiva lo sviluppo di una rigogliosa vegetazione palustre. La bonifica dei terreni è consistita nella rimozione delle parti più elevate delle ondulazioni e nella collocazione del terreno rimosso nelle zone più ribassate. Nell’area sopravvivono, tuttavia, lembi di territorio di grande interesse naturalistico che mostrano come doveva essere l’aspetto della Lomellina in epoche passate. Una parte rilevante del territorio rientra infatti fra le Aree prioritarie per la biodiversità nell’ambito della Rete Ecologia Regionale della Lombardia. I dossi della Lomellina hanno attirato l’attenzione di illustri studiosi di scienze naturali fin dal XIX secolo. Si tratta di minuscoli rilievi che, isolati o a gruppi, si staccano dal piano generale. La superficie, decisamente sabbiosa, arida, ricoperta da magre erbe, da qualche ginestra e da boschi di querce e robinie, è ondulata da minuscole collinette intervallate da piccole depressioni, dove il terreno appare più umido. Questi rilievi in qualche caso vengono definiti “sabbioni” per indicare la loro natura sabbiosa. I “dossi” non sono peraltro una particolarità del tratto pavese della pianura padana. Rilievi sabbiosi consimili risultano presenti in Piemonte, nel Cremonese, nel Veronese, nel Padovano (dune), nel Vicentino (motti o motte). Tali collinette raggiungono un’altezza variabile da punto a punto, ma in alcuni casi arrivano anche a 5-6 metri. Il loro andamento è molto irregolare. Dei dossi lomellini due sono scampati alla distruzione totale. Uno è il dosso di Remondò nella parte a sud della strada Mortara-Pavia, l’altro è parte del dosso di San Giorgio- Cergnago, lungo la strada comunale Cergnago-Tromello. L’area dei dossi costituisce un’isola di vegetazione naturale nella distesa delle coltivazioni circostanti in cui trovano ambiente idoneo molte specie scomparse da gran parte della Lomellina.

Lomellina

Il nome di Casale Monferrato,appare per la prima volta in un documento di donazione del diacono Andrea alla canonica di Sant’Evasio, datato 15 agosto 988. È certo che sin da quando divenne municipium romano la città è stata il centro più importante del circondario, divenendo rapidamente attorno all’anno 1000 libero Comune. Sotto il dominio dei Gonzaga divenne una delle più grandi e prestigiose cittadelle europee. Contesa nel corso dei secoli XVII e XVIII  tra francesi e spagnoli, durante il Risorgimento fu uno dei baluardi difensivi contro l’Impero austriaco. Il comune di Casale Monferrato si estende su un’area pianeggiante situata ai piedi delle colline del (Basso) Monferrato, una delle tre parti dell’area geografica del Monferrato, regione vitivinicola tanto celebre da essere inserita (22 giugno 2014, 38ª sessione del comitato UNESCO a Doha), nella lista dei beni del Patrimonio dell’Umanità.

Basso Monferrato

Sabato, 4 giugno – Il Basso Monferrato e le Colline torinesi

“… attraversiamo l’ultimo tratto del nostro viaggio fisico e dell’anima e quando giungiamo al cartello stradale che indica la fine della provincia di Vercelli e l’inizio della provincia di Torino non crediamo ai nostri occhi: abbiamo attraversato la grande pianura in bici!” (Carmela Cellamare)

La quinta e ultima tappa va alla scoperta di un’area geografica particolare, a confine tra la collina e la pianura, il Basso Monferrato (o Casalese) fino alle pendici delle colline torinesi, arrivo nella prima capitale d’Italia, Torino. Vi sono varie interpretazioni e ipotesi sull’etimologia della parola “Monferrato”, nessuna certa. Tra le varie e talora fantasiose interpretazioni del toponimo (monx ferrax, monte fertile; mun fra, mattone ferrato; mons ferratus, monte coltivato a farro), recentemente si ritiene che lo stesso potrebbe derivare, analogamente ai numerosi toponimi simili diffusi tra Piemonte e Lombardia occidentale, dalla presenza di un tipo di terreno detto “ferrétto”. La storia geologica del basso Monferrato è legata alla formazione della catena appenninica, quando il paesaggio monferrino era molto diverso da quello collinare attuale, mentre la Pianura Padana era occupata da mari più o meno profondi e da isole che si formavano e venivano successivamente sommerse, a seconda dei movimenti dell’Appennino. Una di queste isole occupava gran parte del Monferrato Casalese. Quando il mare (3.5 milioni di anni fa – Pliocene inferiore) si ritirò definitivamente dal Piemonte, queste isole si trasformarono progressivamente nelle morbide colline attuali che caratterizzano adesso il Basso Monferrato. Si tratta di colline che, con l’esclusione del Sacro Monte di Crea (455 m), non raggiungono mai altezze superiori ai 400 metri. Territorialmente il Basso Monferrato comprende la parte della provincia di Alessandria che gravita attorno a Casale Monferrato ed è delimitato a nord e a est dal corso dei fiumi Po e Tanaro. In virtù delle vicende geologiche che lo hanno interessato, il territorio presenta una particolare commistione tra paesaggio collinare e pianura che si caratterizzano per la coltivazione vitivinicola, in collina, e quella risicola, in pianura. Le prime notizie del Monferrato come entità politica sono poco anteriori all’anno 1000. Con il diploma del 21 marzo 867 l’imperatore Ottone I assegna ad Aleramo “tutte le terre dal fiume Tanaro al fiume Orba e fino alle rive del mare”, il territorio assume la denominazione di Marca Aleramica da cui, successivamente, si formerà il Marchesato di Monferrato. Le vicende che nei secoli hanno attraversato questo territorio hanno lasciato varie testimonianze nei borghi spesso contraddistinti dalla tipica “Pietra da Cantone” di cui sono costituiti.

“… ci divertiamo allontanandoci dall’umanità, dalle macchine, dai centri abitati e dalla frenesia. Incontriamo qualsiasi tipo di terreno: ciottoli, erba, asfalto, pietruzze, sabbia e fango. Ogni volta la bici deve riadattarsi. E anche noi. A volte tremiamo tutte, anche le braccia e perfino i capelli, altre volte spingiamo sui pedali per essere più forti del terreno, fatto di terra e acqua. Le rive del Po, quando si mostrano, hanno colori luminosi che non abbiamo mai visto” (Fulvia Balestrieri)

Le Colline del Po, composte da rilievi di modesta altezza che costeggiano il Po torinese sulla sponda destra, a est della città, segnalano che la meta è finalmente vicina. Oggi questi rilievi sono prevalentemente noti con la denominazione di Collina Torinese, il cui toponimo identifica l’omonimo vino DOC. Le Colline del Po sono separate dalla Pianura Padana a nord e ad ovest dal fiume Po. ll rilievo più elevato è il Bric della Maddalena a 715 m Superga (672 m). anche per le Colline del Po l’origine dei rilievi è legata all’orogenesi appenninica: le colline erano originariamente isole del Mare Padano. Parte dell’area è protetta dal Parco naturale della Collina Torinese.

Torino, piazza Castello

“La ciclabile che costeggia il Po ci fa strada verso la città. Giunti a Piazza Castello la nostra gioia esplode e la piazza del sabato pomeriggio piena di turisti è lì ad attenderci. Siamo a Torino dopo 450 km percorsi in bici. (Carmela Cellamare)

“… sembra che in questo viaggio ognuna abbia scoperto grandi bellezze, che forse non si esprimeranno mai a parole, ma che stanno lì, tra la sella e il manubrio delle bici, tra gli infiniti raggi delle nostre ruote. C’è la fatica e c’è la gioia dei chilometri vissuti pedalando” (Fulvia Balestrieri)

Torino, sul Po

Testo di Davide Balsemin – Fotografie: Silvia Pondrelli