L’inizio del Novecento fu caratterizzato da un enorme e rapidissimo progresso tecnologico: nell’arco di pochi anni l’uomo fu in grado di spostarsi con automobili sempre più veloci e sofisticate, di trasvolare l’Atlantico, di trasmettere messaggi e sentire notizie al di là dell’orizzonte. Questo provocò una profonda crisi nel mondo dell’arte e dell’architettura. Divenne chiaro che lo Zeitgeist dell’Ottocento era ormai definitivamente tramontato e un nuovo punto zero doveva essere trovato. Nel 1909, il “Manifesto del Futurismo” di F. T. Marinetti, con l’esaltazione dell’energia, della forza, e della bellezza industriale ebbe un effetto dirompente ed un’influenza globale spesso sottovalutata. È nota la frase: “Un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia.”
Al termine della prima guerra mondiale, il corollario di alcune affermazioni di Marinetti divenne evidente, soprattutto per l’architettura: la nuova architettura doveva aderire alla filosofia dell’industria, con la semplificazione del disegno, con l’eliminazione di inutili decorazioni e con una sostanziale identificazione tra forma e funzione. Il Razionalismo fu il movimento mondiale, particolarmente diffuso tra il 1920 e il 1940, che propugnò queste idee e che produsse progetti essenziali, la cui bellezza risiede nella semplicità e nella funzionalità. La totale assenza di decorazioni produce da un lato una frattura con il passato e quindi una evidente modernità, mentre dall’altro mette in evidenza l’essenza dell’oggetto. Questa corrente si sviluppò contemporaneamente in Germania con Gropius e la scuola del Bauhaus, in Francia con Le Corbusier ed in Italia con architetti come Terragni, Mazzoni, Piacentini.
Testo e fotografie di Giovanni Maria Sacco – fotografo e computer scientist