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Sporchi lavori. Reportage di un viaggio in Madagascar

Durante un viaggio in Madagascar, precisamente nella regione di Menabe, sulla costa occidentale, attraversai diversi villaggi, alcuni sperduti e tranquilli, altri pieni di vita come fossero grandi città.

Passeggiando per le strade sabbiose e colorate di un arancione quasi accecante, vidi in lontananza nubi di fumo nero volgere verso il cielo. Pensai subito a un incendio. Decisi quindi di raggiungerle per capire cosa stesse succedendo. Arrivai sempre più vicino e quell’odore si faceva più forte, quell’aria sempre più irrespirabile. A un tratto girai in un vicolo cieco che mi portò dentro un cortile. Rimasi ferma, sbalordita.

Quelle nubi, nere e maleodoranti, non provenivano altro che da una “fabbrica” che colava il metallo. La struttura era una baracca di legno e mattoni con un tetto ricoperto di pannelli in acciaio da dove, qua e là, spuntava qualche filo elettrico. Dalle finestre si poteva intravedere l’interno. Vi erano cataste di ciotole in acciaio, che sarebbero poi serviteper il metallo colato. Si riconoscevano badili e altri utensilinecessari per la lavorazione, sacchi di plastica e sporcizia.

Guardandomi intorno iniziai a rendermi conto che in quel cortile si lavorava seriamente, che le persone presenti erano operai nel pieno del loro lavoro. Capii quindi, che ero capitata in una normalissima giornata lavorativa dentro una normale fabbrica metallurgica. In quel cortile, c’era la vita di tutti i giorni. Non volevo crederci, non poteva esser vero.

Salutai e chiesi se potevo restare ad osservarli e scattare qualche foto mentre manipolavano quegli attrezzi. Pinze arrangiate con due pezzi di ferro e unite da un bullone, probabilmente trovato nel caos di quel cortile. Forni costruiti manualmente con mattoni appoggiati uno sopra l’altro e legati intorno da una spessacorda di ferro, avevano sopra di essi dei grossi bidoni arrugginiti, da dove fuori usciva la fiamma che avrebbe poi colato i pezzi di metallo, tutto intorno, pezzi di legno per alimentare il fuoco. Dalle fessure dei mattoni si intravedeva persino il rosso del fuoco, sembrava la lava di un vulcano.

A rendere ancora più incredibile quanto stavo vedendo, fu la presenza di quelle persone. Uomini scalzi, alcuni a dorso nudo, altri indossavano misere ciabatte. Si mimetizzavano nelle nubi di fumo nero. Al primo soffio d’aria, apparì al mio sguardo un bimbo mentre giocava in quel cortile sporco e allo stesso tempo pericoloso; inalava quell’odore terribile, ma si divertiva, rideva. Mi guardò un po’ stranito, come se volesse dirmi: “qua è tutto normale”, poi tornò a giocare.Nessuno indossava guanti, nessuna protezioni, niente. Non riuscivo ad abituarmi a quell’odore nocivo, a quelle nuvole di fumo tossico che oscuravano il cielo, ma quel luogo, in qualche modo, mi aveva ammaliata.

Poi mi fermai a pensare al paese nel quale mi trovavo, ai villaggi in cui manca davvero tutto, anche il minimo indispensabile per vivere dignitosamente. Ma allo stesso tempo, un paese ricco di risorse naturali come il petrolio, i minerali e i diamanti, che da sole potrebbero permettere a tutti una vita decorosa.

Testo e foto di Guarnieri Jenny

Jenny Guarnieri

Jenny Guarnieri