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Ferdinandea. Immersione all’isola che non c’è

L’isola Ferdinandea è nata in seguito a un’eruzione vulcanica tra il dieci e l’undici luglio 1831. Appartiene di diritto alla lunga tradizione marinara delle isole inesistenti, degli abbagli solari o dei banchi di nebbia, delle isole che nascono sulle carte geografiche e poi scompaiono. È un’isola inganno del tempo. Ferdinandea tuttavia è esistita davvero, per un anno, finché la tefrite, roccia di cui è composta, si è sgretolata sotto la forza dello stesso mare che l’aveva originata. E così in breve tempo è scomparsa, o meglio è tornata a essere il vulcano sottomarino che già era.

Carta nautica del Canale di Sicilia con appunti di navigazione
Carta nautica del Canale di Sicilia con appunti di navigazione

Il lembo di terra sottratto all’acqua scatena l’interesse internazionale di potenze e Cancellerie diplomatiche. L’ammiraglio britannico Sir Percival Otham prende possesso dei quattro chilometri quadrati dell’isola. Il 24 agosto 1831 il capitano Jenhouse pianta la bandiera di sua Maestà sull’isola e la battezza con il nome di Graham, in virtù dell’omonimo banco che dista una manciata di miglia da Ferdinandea. Una seconda scossa, di magnitudo pari a quello del terremoto che ha fatto nascere l’isola deve essersi verificato sotto il trono di Ferdinando di Borbone quando seppe del sopruso inglese.

Ferdinando II di Borbone, Re delle Due Sicilie
Ferdinando II di Borbone, Re delle Due Sicilie

Il sovrano del Regno delle Due Sicilie invia il capitano Corrao nei pressi dell’isola che la ribattezza con il proprio nome e cede i servigi isolani alla testa coronata per cui presta servizio. La disputa territoriale continua: il 26 settembre dello stesso anno la Francia invia il brigantino La Fleche sotto il comando del capitano di corvetta Jean La Pierre. A bordo, oltre al tricolore in fascia blu, si trovano il pittore vedutista e paesaggista Edmond Joinville e il geologo Constant Prévost. Nasce così la prima testimonianza iconografica dell’isola che appare dipinta su tela, stile ottocentesco: pennellate precise e romantiche ritraggono Ferdinandea come una geologica venere di Botticelli. I cugini d’Oltralpe, battezzano l’isola con il nome di Iulia. Appongono infine una targa in memoriam: “Isola Iulia – i sigg. Constant Prévost, professore di geologia all’Università di Parigi – Edmond Joinville, pittore 27, 28, 29 settembre 1831”. Salgono sulla sommità dell’isola e centrotrentotto anni prima di Neil Armstrong, mimano il suo gesto nell’apporre la bandiera in vetta. Il Re delle Due Sicilie rivendica nuovamente la territorialità isolana e così invia con carattere detonante la corvetta borbonica Etna sull’isola che i francesi gli avevano sottratto. Corrao pianta la bandiera borbonica. Al suo ritorno si imbatte nella fregata di sua Maestà al comando del capitano Jenhouse. Le sorti dell’isola sono rimesse all’arbitrato diplomatico e così mentre a Londra e Napoli gli avvocati incipriati e imparruccati discutono del diritto dell’Insula in mari nata, lei, l’Isola Ferdinandea scompare dalla carta geografica.

L'isola di Ferdinandea, Camillo De Vito, guazzo, collezione privata
L’isola di Ferdinandea, Camillo De Vito, guazzo, collezione privata

Dopo questo excursus storico ci sentiamo sufficientemente ispirati per arrivare, finalmente, al punto di immersione. Mi metto all’ecoscandaglio di fianco a Stefano Carletti, insieme guardiamo il fondale e le batimetrie. Scegliamo il punto in cui mi immergerò. La corrente è forte, sono sei nodi. Il vento di Maestrale soffia in direzione opposta alla corrente. Le onde, alte un metro e mezzo abbondante, battono cicliche il tempo, senza soluzione di continuità. La terra, quella vera e non sommersa, è lontanissima.  Mi butto: è tutto blu attorno a me, sotto di me, sopra di me. La corrente mi spinge verso un pedagno tunisino, un bidone giallo e uno bianco che avevo visto durante la vestizione. È fissato all’estremità sud-ovest dell’isola Ferdinandea. Mi fermo lungo la sua cima galleggiante, arancione. La corrente è forte e fatico. Mi preoccupa un solo aspetto di questa immersione: scendere lungo la cima di una rete. Là dentro proprio non voglio finirci e nonostante abbia la mano già pronta sul coltello che porto lungo la bombola laterale, ben presto dovrò sacrificarla per farla scorrere insieme all’altro, lungo il canapo che mi porta in un’altra dimensione. L’acqua è cosi trasparente che mi lascia intravedere alcuni metri di imbando sotto le mie pinne, e questo mi da fiducia perché almeno so a cosa vado incontro. Impiego alcuni minuti per arrivare a sei metri di profondità. Tre metri più sotto la corrente da il meglio di sé: gli erogatori vanno in auto erogazione e sbuffano gas come fossero locomotive a vapore. A dodici metri la corrente si dimezza e cambia verso. “OK. Adesso possiamo giocarcela alla pari, o quasi”, penso. La discesa verso l’isola che non c’è continua tra sussurri di pesci volanti e donzelle spagnole. Sono a ventiquattro metri di profondità, tra banchi di anthias, spugne policrome e alghe dalla mille consistenze. La corrente sul fondo viene da nord e ha un’intensità di circa un paio di nodi scarsi. Preferisco rinunciare all’immersione profonda e stare sul plateau.

L'isola di Ferdinandea dalla parte di greco-levante, durante la visita compiuta da Mr. Wright il 26 agosto 1831
L’isola di Ferdinandea dalla parte di greco-levante, durante la visita compiuta da Mr. Wright il 26 agosto 1831

Stendo la mia sagola contro corrente e inizio l’esplorazione di questa terra subacquea. Recupero il filo di Arianna in favore di corrente e la stendo poi di nuovo con un’altra direzione. Ripeto questa pratica per circa venti minuti, poi inverto le procedure ed esploro la parte opposta dell’isola. L’immersione diventa così estremamente sicura e mai monotona; vedo a ogni stesura di sagola luoghi diversi che mi affascinano e incantano. Una nuvola d’argento mi investe, mi travolge in un insolito destino nell’azzurro mare del Canale di Sicilia:  sardine ovunque! Questo è senza ombra di dubbio il banco di pesce più grande che abbia mai visto. Miliardi di pesci che si spostano all’unisono e passano sopra e sotto la mia linea gialla; per la prima volta nella mia vita sento il loro fremito di pinne nell’acqua. Mai avrei pensato di sentire il suono che fanno le pinne dei pesci mentre nuotano. Sembrano cicale, vibrano come ali di albatros nell’aria, fendono l’acqua. Quell’elemento in cui non possiamo stare, ma di cui siamo fatti e di cui siamo dipendenti. L’acqua mi appare come un fluido non newtoniano. La sua densità è plasticamente scultorea, sembra di poterla modellare ed è dipinta come una lunetta fiorentina di Luca della Robbia. L’immersione all’Isola Ferdinandea è un’esperienza tecnica e sensoriale per subacquei che ascoltano il proprio respiro e seguono la propria ombra. Dopotutto “siamo un sogno dentro a un sogno”.

HMS Melville e l'isola di Graham, autore sconosciuto del XIX sec., olio su tavola, 1831 - National Maritime Museum, Greenwich, Londra
HMS Melville e l’isola di Graham, autore sconosciuto del XIX sec., olio su tavola, 1831 – National Maritime Museum, Greenwich, Londra

L’ultima immagine che ho di questo luogo mi ricorda il mito greco di Atlante, titano che regge la Terra sulle proprie spalle, qui in mezzo mare, in acque internazionali i punti di vista si rovesciano: è la terra a sorreggere l’acqua.

Pugno-Pugno risalgo in superficie. La corrente non ha mollato, non so se abbia rinforzato: ha la forza d’Ercole. Mi metto in favore di corrente e con assetto positivo. Lascio che la mia superficie in aderenza con il mare sia minima, eppure le braccia mi fanno male dallo sforzo. Ho la sensazione di essere in una macchina da tortura medioevale, di quelle che allungavano i tendini dei malcapitati per farli confessare dal dolore più che per le reali colpe. “Eliche ferme!” esclama Stefano Carletti. È il segnale che posso iniziare a risalire. Con un ginocchio sono a bordo, mi allungo come possoò. Pare che la “macchina medioevale” abbia dato i suoi frutti. Sono piaggiato a bordo… ce l’ho fatta!

Questa immersione nel suo complesso è stata una catarsi. Ho trovato me stesso, quel che cercavo. Ripartiamo per Favignana. Mi addormento tra il vento e le onde. Mi risveglio quando il sole sta tramontando oltre Marettimo.

L'isola di Marettimo al tramonto

di Andrea Murdock Alpini – Esploratore Phy Diving Equipment